Intorno alla storia della critica dantesca [Benedetto Croce]

Dati bibliografici

Autori: Benedetto Croce

Tratto da: La poesia di Dante

Editore: Bibliopolis, Napoli

Anno: 2021

Pagine: 175-177

[…] Il motivo critico dei due Danti e della dualità della Commedia, che al Bouterweck si era presentato come una distinzione e diversità tra il «sistema» e la poesia del poema, e ad altri, meno esattamente, come un contrasto tra il Dante teologo e il Dante poeta, se non è propriamente il problema unico o centrale della critica dantesca, è certamente il problema preliminare, che questa si vede innanzi. Intorno a siffatto problema, nessuno tanto si travagliò quanto Francesco de Sanctis, le cui indagini su Dante presero forma dapprima nelle lezioni napoletane del 1842-43, poi nelle conferenze torinesi del 1854-55 e in un libro a cui lavorò su Dante, e furono messe a stampa nei saggi sui principali episodi dell’Inferzo e nel lungo capitolo sulla Commedia, inserito nella Storia della letteratura del 1869- 70, gli uni e l’altro estratti dal manoscritto del libro che si è detto di dieci anni innanzi, rimasto imperfetto1. Gli studi del De Sanctis su questo argomento non giunsero, dunque, mai a piena maturità e furono piuttosto arrestati che conclusi; e ciò giova tener presente per quello che qui si osserverà. Invero, la soluzione che egli dette del problema della dualità non trovò il punto giusto, perché il rapporto dei due Danti, variamente atteggiato dai suoi predecessori, venne da lui concepito come quello tra allegorismo e poesia (o, come anche talvolta disse, tra cielo e terra), laddove esso era effettivamente e propriamente (come bene aveva visto o intravisto il Bouterweck) dualità, e talora dissidio, di struttura e poesia. Egli descrisse, per conseguenza, un Dante «sublime ignorante», ignaro della sua vera grandezza, illogico nel suo fare, che, gran poeta quale era, si ribellava involontariamente e inconsapevolmente alle intenzioni che si era prefisso, all’allegorismo, e si lasciava soverchiare da quella che chiamava «bella menzogna», onde la Commedia sarebbe riuscita il «Medioevo realizzato come arte, malgrado l’autore e malgrado i contemporanei». La quale lotta può essere nella nostra immaginazione come simbolo del contrasto tra la realtà della poesia e le teorie di Dante critico, ma non era in Dante poeta, che di solito lasciava l’allegoria all'esterno e altra volta interrompeva la poesia per appagare propositi allegorizzanti, e, appagati questi propositi e riposando sulle sue teorie, creava con allegra forza di poeta. Malgrado quella dubbia spiegazione teorica, il De Sanctis era tuttavia animato dalla sana tendenza, propria dei critici romantici, a sciogliere il Dante poeta dalla confusione col Dante teologo, filosofo e politico, e a considerarlo per sé, e a togliere importanza all’allegoria, sebbene non definisse esattamente la natura di questo procedimento mentale2. Maggior merito gli si deve in questa parte riconoscere, a paragone di altri critici romantici, i quali, nel compiere l’anzidetta liberazione della poesia dalla non poesia, gettavano via l’elemento religioso e mistico come impoetico e serbavano solo quello politico e storico. Il tedesco Vischer, per esempio, contemporaneo e collega del De Sanctis nel Politecnico di Zurigo, ripetendo, nella sua Estetica, il concetto dello Hegel circa la Comedia, che sarebbe «epopea religiosa», accusava nella forma dell’opera una contradizione con l'essenza del poema epico, che richiede un mondo reale e umano, e giudicava poetiche le sole parti «storiche»3; ma il critico italiano, invece, rifiutando la religiosità allegorica, non chiuse gli occhi alla «religiosità concreta, in figure tradizionali e familiari», che è nel poema, «ed è poesia»4. E commentò come fin allora nessun altro aveva saputo, e fece sentire nella loro poetica bellezza, i canti di Francesca, di Farinata, di Ugolino, di Pier della Vigna, e anche alcune parti del Purgatorio e del Paradiso, sorpassando non meno il modo umanistico di sminuzzare le «bellezze di Dante» (sul qual argomento aveva composto un libro il Cesari), che quello aforistico e generico dei critici romantici, dei quali solo il Fauriel aveva tentato l’esame particolare di episodî della Commedia.

Notes
1
B. Croce, Gli scritti di F. de Sanctis e la loro varia fortuna, (Bari, 1917), p. 30.
2
Oltre quel che se n’è detto di sopra, si veda una più ampia trattazione della natura dell’allegoria in Nuovi saggi di estetica, cit., pp. 329-38; cfr. Conversazioni critiche, V, 7-14.
3
Aesthetik, II, sez. II, § 878, e per una conversazione in proposito del De Sanctis col Vischer, Croce, Saggio sullo Hegel e altri scritti della storia della filosofia2 (Bari, 1927), pp. 383-84.
4
Storia della letter. ital., ed. Croce, I, 167.
Date: 2022-12-07