Le allegorie fondamentali: le fiere, il Veltro, «colui / che fece per viltade il gran rifiuto» [Massimo Seriacopi]

Dati bibliografici

Autore: Massimo Seriacopi

Tratto da: Il dono di Dante e le allegorie fondamentali

Editore: Libreria Salvemini, Firenze

Anno: 2019

Pagine: 17-21

L'amore che Dante mostra per le corrispondenze, allo stesso tempo struttutali-lessicali e di valenze morali, all’interno del poema da lui creato, deve portare a considerare con attenzione (come notava a suo tempo un poeta ed esegeta dantesco ingiustamente a lungo trascurato o non compreso come Giovanni Pascoli) il modo in cui esse sono state applicate dall’autore, e le finalità sottese a questa metodologia applicativa, poiché in molti casi possono concorrere a far comprendere con maggiore chiarezza la forza mentis che le ha generate e, spesso, anche a identificare meglio personaggi e situazioni che informano di sé la ficio e che dal suo interno veicolano precisi messaggi per il lettore, da mettere a frutto quando siano correttamente intesi.
Ritengo che questo sia il caso, tra l’altro, di tre delle questioni più discusse riguardo alle cruces esegetiche che costellano il percorso degli interpreti che si sono soffermati sui primi canti della Commedia nei secoli, cioè su quelle allegorie fondamentali che tanto peso avranno poi nel tessuto dell’intera trama: la valenza di lonza, leone e lupa, l’identificazione del Veltro Cinque Cento Diece e Cinque, identificazione di colui / che fece per viltade il gran rifiuto.
Si parta da una considerazione basilare: se la Commedia dantesca è, come a me sembra, un sistema preordinatamente organizzato da un autore cristiano appartenente a quell’epoca che noi definiamo Medioevo, avrà poco senso sia sovrapporre ai suoi tratti costitutivi le nostre categorie interpretative di persone formatesi alla fine del XX secolo (e quindi ben lontane dal percepire la fitta trama di interrelazioni che percorreva un universo interamente congegnato e collegato nelle sue parti dal Creatore, secondo la concezione del tempo, e con precise finalità), sia allineare ciecamente una serie di possibili “fonti” che, anche quando effettivamente conosciute dall’autore (e in quale forma tràdita, tra l’altro?), sono state costantemente da lui reinterpretate e “personalizzate”, come di continuo è possibile rendersi conto, proprio perché utilizzate all’interno di tale sistema e con preordinate finalità che presiedono all’organizzazione complessiva.
Più produttivo, anzi, indispensabile, sarà allora il procedimento di lettura di “Dante con Dante”, rifacendosi anche agli altri suoi testi (ma senza dimenticare l’evoluzione e i possibili ripensamenti nel suo pensiero, avvenuti perfino all’interno del poema stesso, la cui costituzione si deve essere sviluppata nel corso di una quindicina d’anni, nonché le diverse “tipologie compositive”: basti per tutti l'esempio del passaggio di Guido da Montefeltro dalla considerazione goduta all’interno del Convivio a quella a lui riservata come protagonista del canto XXVII dell’Inferno), e tenendo conto del fatto che all’interno di questo sistema tout se tent, parole, strutture, valenze si richiamano e sono strettamente interconnesse e collegate tra loro in un preciso disegno e con quelle predeterminate finalità a cui si accennava, incentrate sul processo presa di coscienza-redenzione, dall’individuale al collettivo, con il poeta che assume il ruolo di profeta “biblico”.
Non potranno quindi apparire casuali questi collegamenti che vengono instaurati tra varie parti del poema (un esempio su tutti: il “percorso” costitutivo, tassello dopo tassello, dell’immagine di Bonifacio VIII e di Clemente V; ma si potrebbero citare anche le “collocazioni” di Federico II, Manfredi, Costanza d’Altavilla, o di Forese, Corso e Piccarda Donati, o le valenze evidentemente politiche “ascensionali’’ dei canti sesti delle tre canzon’, e quelle “preliminari” del vestibolo dell’Inferno e del Limbo collegate alle zone dell’Antipurgatorio e ai cieli inferiori del Paradiso, ecc.).
Altro elemento che è importante tenere ben presente, a mio parere, è anche la considerazione di quanto è produttivo utilizzare di ciò che conserviamo dell’esegesi coeva all’Alighieri, dal punto di vista linguistico, strutturale, dei significati di situazioni, immagini e personaggi: e a questo proposito, oltre alle valenze spirituali e religiose, non andranno trascurate quelle politiche, come vedremo, sottese al dettato e alla costituzione di dramatis personae, spesso, e non casualmente, accennate e individuate da chi aveva forma mentis e formazione ideologico-culturale ancora vicine a quelle dell’autore.
In particolare, a questo proposito, intendo soffermarmi non solo sulle indicazioni fornite dai commenti già conosciuti, quanto sulle rielaborazioni compiute rispetto ad alcuni di loro da anonimi, o anche su ciò che di totalmente originale (per quanto ne sappiamo) ho rintracciato negli ultimi venticinque anni all’interno di codici conservati in biblioteche fiorentine, visto che la complessa diffrazione esegetica che è stata presente fin dall’inizio nell’interpretazione del poema ci offre un chiaro segnale: non bisogna accontentarci di ripercorrere solchi già tracciati, in modo spesso non convincente e poco chiarificatore, con acquiescenza; fin dai primi anni di creazione e di diffusione dell’esegesi alla Commedia si registrano incertezze, oscillazioni, diffrazioni interpretative, e questo aspetto non deve essere trascurato, ma deve servire da stimolo per un’analisi più approfondita e problematicizzata.
E dunque, partendo dalla questione delle tre fiere: tradizionalmente nelle loro figurae vengono identificati tre vizi (ma meglio sarebbe parlare di disposizioni al male, ostacolo all’elevazione dell’uomo e dell’umanità e causa di disordine sociale: perché quest’ultimo va inteso come veto discrimine valutativo per Dante, la responsabilità individuale, cioè, nel rafforzamento di tale degenerazione morale della societas) che sarebbero la lussuria (per la lord), la superbia (per il lore) e l’avarizia (cioè l’avidità di possesso materialistico, pet la lupa); ma per quanto riguarda la prima bestia, l’identificazione con la lussuria non è solo incerta: risulta inaccettabile.
Ecco cosa può significare appropriarsi di un patrimonio esegetico finora sconosciuto: non solo si acquisiscono dati che riguardano referenti testuali, storico-letterati, di interpretazione letterale e allegorico-motale ricollegabile a una consapevolezza intrinseca di quell’articolatissimo ma unitario disegno che evidentemente sta alla base del poema dantesco (come spesso tali sforzi interpretativi mostrano di aver compreso), ma si è spinti a una fondamentale rimessa in discussione di quanto dato passivamente per acquisito proprio rapportandosi, dopo certe indicazioni fornite all’interno di queste “isolette’’ interpretative sopravvissute magari a sforzi esegetici più complessi e strutturati, al testo e all’architettura danteschi.

Date: 2022-10-24