La rivoluzione della Commedia [Marco Rustioni]

Dati bibliografici

Autore: Marco Rustioni

Tratto da: Allegoria. Storia e interpretazione

Editore: Pacini Ed., Pisa

Anno: 2016

Pagine: 31-38

Nello sviluppo dell’allegoria appena tracciato prevale una determinata prassi combinatoria che prevede la dialettica tra valori universali e elementi descrittivi. Il dato accomuna i testi finora esaminati dove le personificazioni sono, in linea di massima, a carattere tropologico, e rinviano ad un insegnamento di tipo morale. Questa premessa si rivela necessaria per comprendere lo scarto avvenuto con la Commedia. A ben vedere, infatti, per la prima volta nel Medioevo un autore sceglie di combinare l’allegoria ad un processo di mimesi realizzato, lontano dai generi dell’eloquenza tradizionale, in una nuova poetica del sublime, fondata sul sermo humilis e sul paradigma offerto dal linguaggio dei Vangeli. In questo senso l’opera di Dante ha ampliato a dismisura l’area degli elementi nominabili, con una capacità di estensione linguistica che riguarda, tanto il realismo dei dati sensibili offerto dall’Inferno quanto l’universo dei valori filosofici e teologici tramandato, in particolare, dal Paradiso . Emergono infine, anche in questo caso inedite, le forme del realismo psicologico, racchiuse in un codice di gesti materiali che esprimono, di fronte ai fatti sconvolgenti del poema, le tensioni dell’interiorità . Su questo aspetto agisce il duplice ruolo che Dante attribuisce a se stesso all’interno dell’opera, che si presenta come il resoconto in prima persona del viaggio compiuto dall’autore nei tre regni ultraterreni. Si tratta, come è noto, di una struttura narrativa di lunga tradizione. La letteratura dei viaggi oltremondani era assai diffusa nel Medioevo ed aveva come modelli di riferimento, da un lato, la catabasi classica tramandata dal sesto libro dell’Eneide e, dall’altro, la Visio Sancti Pauli, opera anonima rielaborata a partire da quanto affermato dal santo nella II Epistola ai Corinzi. Eppure, al di là delle possibili fonti, la dialettica instaurata da Dante con la rappresentazione di sé lasciata nel poema non accentua soltanto la veridicità del racconto, ma imprime alle unità di contenuto la mobilità dei turbamenti del ricordo, dei sentimenti e delle inquietudini rimaste impresse nella memoria e nello iato temporale che divide l’autore dall’esperienza vissuta.
Ma la vera rivoluzione riguarda l’idea di allegoria sviluppata da Dante nel poema. La critica ha cercato di affrontare l'argomento affidandosi alle dichiarazioni di poetica dell’autore. La prima occorrenza risale al Convivio (1304-1308). Attraverso il commento a canzoni precedentemente scritte dal poeta, il testo intende offrire un ampio compendio di argomenti filosofici e scientifici, destinati ad un pubblico desideroso di riconoscersi in una forma di nobiltà interiore, in contrasto con quella di stirpe e riconducibile ad un ideale di perfezione morale. Per intraprendere questo itinerario conoscitivo, ad apertura del secondo trattato Dante decide di soffermarsi sui criteri da lui adottati. Ne trascriviamo qui di seguito una parte.

Dico che, sì come nel primo capitolo è narrato, questa sposizione conviene essere litterale e allegorica. E a ciò dare a intendere, si vuol sapere che le scritture si possono intendere e deonsi esponere massimamente per quattro sensi. L'uno si chiama litterale, e questo è quello che non si stende più oltre che la lettera de le parole fittizie, sì come sono le favole de li poeti. L'altro si chiama allegorico, e questo è quello che si nasconde sotto ’l manto, di queste favole, ed è una veritade ascosa sotto bella menzogna [...]. Veramente i teologi questo senso prendono altrimenti che li poeti; ma però che mia intenzione è qui lo modo de li poeti seguitare, prendo lo senso allegorico secondo che per li poeti è usato .

All’allegoria dei teologi, dunque, viene contrapposta l’allegoria dei poeti. Ciò che Dante sembra voler qui suggerire è che il modello di allegoria prescelto deriva dalla tradizione profana. La bella menzogna delle invenzioni poetiche corrisponde alla superficie, al velo fittizio della lettera, e al di sotto permane, occultato, il contenuto di verità, quello che l'esposizione allegorica dovrebbe rendere esplicito. La definizione offerta da Dante nel Convivio risulta perciò assai prossima al modello retorico classico ed è piuttosto rilevante lo statuto attribuito al senso letterale e, di conseguenza, alla narrazione della Commedia, così come viene intesa dal poeta stesso. Secondo questo modello ermeneutico, il viaggio ultraterreno compiuto dall’autore deve essere considerato non come «il resoconto di un viaggio reale, ma come una bella favola sotto la quale il lettore è invitato a cercare il significato allegorico» .
La seconda occorrenza è contenuta nell’Epistola XII, attribuita a Dante ed inviata a Cangrande della Scala (1319-1320). Intento a chiarire, in qualità di lector, il significato generale dell’opera, l’autore ricorre al termine polisemos, e per spiegare i diversi modi in cui è possibile trattare l'argomento si riferisce ad un episodio scritturale tramandato dal Salmo 113, in cui viene descritta la fuga dall'Egitto del popolo d’Israele, guidato da Mosè. Si tratta, come ricordato da molti critici , di un passo assai citato nell’esegesi medievale e che viene qui ripreso come esempio di un'autorità fondativa. Il parallelismo sollecita l’interprete ad individuare la struttura della Commedia e le modalità di lettura adatte a comprenderne il significato. Merita a questo punto trascrivere l’esposizione direttamente dall’Epistola.

Infatti se guardiamo alla sola lettera del testo, il significato è che i figli di Israele uscirono d'Egitto, al tempo di Mosè; se guardiamo all’allegoria, il significato è che noi siamo stati redenti da Cristo; se guardiamo al significato morale, il senso è che l’anima passa dalle tenebre e dalla infelicità del peccato allo stato di grazia; se guardiamo al significato anagogico, il senso è che l’anima santificata esce dalla schiavitù della presente corruzione terrena alla libertà dell'eterna gloria .

Alla base dell’interpretazione, dunque, è posto il senso letterale, che a sua volta poggia non su una finzione, bensì su un evento storico. Quest'ultimo però non viene letto come un episodio a sé ma viene accolto da Dante nella sua funzione profetica ed acquisisce significato proprio perché preannuncia quanto si realizza nei tre livelli successivi. Ecco dunque che l’esodo è figura della redenzione dei cristiani tramandata dal Nuovo Testamento attraverso il sacrifico di Cristo; ma soprattutto, essa esprime un insegnamento di ordine morale e, al contempo, si collega ad una spiegazione di ordine spirituale. Più che nel Convivio, nell’Epistola lo schema ermeneutico viene desunto dall’esegesi delle Sacre Scritture, ed è su questo principio che si fonda l’ipotesi offerta, in particolare, da Auerbach, che ricorre nella sua analisi al concetto di figura . Secondo il critico, già Paolo di Tarso aveva stabilito i confini interpretativi entro cui leggere l'Antico Testamento: il tentativo era quello di attribuire al testo più antico una attualità drammatica e concreta e di sostituire ad esso lo spirito del nuovo patto stabilito col sacrificio di Cristo. Da libro di Legge, l’opera veterotestamentaria si trasforma così in una serie di prefigurazioni che riguardano i contenuti del Nuovo Testamento, e questo tipo di interpretazione mirava a vedere nelle persone e nei fatti del primo profezie reali della redenzione del secondo. Tale approccio ermeneutico entra a far parte degli strumenti di analisi e di lettura adoperati dagli apologisti e si impone poi nel vasto corpus filosofico tramandato dai Padri della Chiesa. Da Tertulliano ad Agostino, quindi, il modello figurale è oggetto di una costante riflessione e sarà Tommaso d’Aquino, nel Medioevo, a riassumere e a tramandare i fondamenti teorici presenti nella tradizione e rappresentati dai quattro sensi attribuiti alle Sacre Scritture: letterale, allegorico, tropologico e anagogico. In modo analogo dunque, devono intendersi gli elementi strutturali che compongono la Commedia. Il resoconto compiuto da Dante del suo viaggio nel mondo ultraterreno è pensato come un evento reale che prefigura, in forma di exemplum, l'itinerario a cui l’umanità deve riferirsi per percorrere la medesima strada verso la salvezza. A ben vedere dunque, tra il Convivio e l’Epistola è avvertibile uno scarto che ha avuto modo di appassionare i critici in una discussione tutt’altro che irrilevante e relativa allo statuto allegorico della Commedia. Si tratta di un dibattito di lunga durata e dal quale non è certo mia intenzione uscire con una proposta risolutiva. Merita comunque soffermarsi su una distinzione che non andrebbe mai trascurata, quella tra allegoria e allegoresi. Tanto dal Convivio che dall’Epistola è lecito infatti desumere uno schema ermeneutico, un modello esegetico da applicare alla Commedia, ma non il suo modus significandi . Non voglio certo sminuire l’importanza, in generale, delle forme di autocommento, né della dialettica stabilita da Dante tra riflessione teorica e prassi poetica; è indubbio però che le note fondanti il dibattito non abbiano come argomento principale la scrittura, bensì l’interpretazione. Tali questioni, poi, discendono da una premessa poco plausibile, e cioè che Dante abbia mantenuto costante un solo modello di allegoria e che non vi siano stati inevitabili variazioni di prospettiva. La stesura della Commedia avviene entro un arco cronologico di circa quindici anni. Il Convivio e l’Epistola si collocano a stretto contatto con l’inizio e la fine della sua elaborazione. Pertanto, non credo sia poco pertinente formulare l'ipotesi che l’allegoria dei poeti e quella dei teologi si compenetrano, nel poema, parallelamente alla composizione del testo; non andrebbe mai dimenticato (e di recente Pasquini lo ha ribadito ) che la Commedia non è stata sottoposta ad una revisione complessiva, ma i canti sono stati diffusi da Dante in modo progressivo. Essi rappresentano perciò un modello di poetica affatto unitario e testimoniano lo sviluppo di fasi tra loro distinte. Ecco perché non trovo così azzardato supporre che entro certi limiti l’Inferno, assai prossimo al Convivio e così attraversato dall’Eneide di Virgilio e dalle Metamorfosi di Ovidio, sia stato elaborato seguendo l’allegoria dei poeti, mentre ciò può valere in misura minore per il Paradiso, più legato a tematiche dottrinarie e soggetto ad un approccio di tipo figurale.
Ciò detto, non è certo mia intenzione negare l’applicabilità al poema dello schema allegorico dei quattro sensi illustrato da Dante stesso, né di respingere le interpretazioni ad esso collegabili. Merita forse soffermarsi, però, sui modi in cui l’allegoria funziona come forma che organizza il testo nel suo complesso. Innanzitutto sarebbe utile approfondire la dimensione retorica dell’opera e da questo punto di vista vale la pena ricordare che la matrice rimane, ab origine, aristotelica. Le forme del traslato scaturiscono per Dante dal principio dell’inopia del linguaggio, una povertà che costringe gli esseri umani a sopperire, per via metaforica, alla costruzione di un senso altrimenti inattingibile. Su questo sfondo si innesta poi un'altra tradizione, collegabile all'orizzonte platonico e ai mezzi espressivi che permettono di rappresentare la visione. Mi riferisco, in proposito, a tutti quei processi di avvicinamento al divino rappresentati dalle figurazioni dissimili e che nell’Epistola a Cangrande vengono definiti col nome di methaforismi , strutture discorsive a contenuto gnoseologico-sapienziale, impiegate da Dante per esprimere «l’abissale eccedenza divina», che può rivelarsi solo per via metaforica o sostitutiva, e dunque in modo enigmatico e oscuro. In secondo luogo, più attenzione andrebbe rivolta ad ipotesi di lavoro tese a definire la dinamica diegetica del testo. Di un certo interesse sono i molteplici tentativi sinora compiuti di assimilare la Commedia a forme di racconto che uniscono elementi sacri e profani. In questo senso il poema sarebbe, in linea con quanto è ricavabile dalla tradizione esegetica medievale, una historia profana, fondata sul racconto di imprese umane contenenti valore profetico ; o ancora, la sua struttura può presentare qualche affinità col modello del recit mystique, una forma di narrazione che traduce in evento reale un universo fittivo e immaginario . Forse, in ultimo, il modo più pertinente di classificare la Commedia è quello di affidarsi a una denominazione di genere, e la categoria maggiormente inclusiva resta quella di realismo sublime, parzialmente riconducibile alle già citate riflessioni di Auerbach. Il resoconto compiuto da Dante del suo viaggio ultraterreno è pensato come un evento storico-concreto che prefigura l’itinerario a cui l’umanità deve riferirsi per percorrere la medesima strada verso la salvezza. I personaggi che animano la Commedia sono entità empiricamente accertabili e, al contempo, forme di una realtà spirituale e morale. Da questo punto di vista, l’allegoria diviene uno strumento di conoscenza che serve all’autore non tanto per irrigidire l’esperienza in ipostasi assolute, bensì per avere una presa più forte sulla complessità del reale, sottoposto ad una trascrizione dinamica, segnata dalla compresenza di piani temporali distinti . Ecco perché il significato della Commedia non si esaurisce in un’unica definizione, per quanto persuasiva possa essere. In essa è avvertibile una commistione di elementi che appartengono a molteplici sfere del sapere e la complessità dei processi di stratificazione non si presta ad una lettura univoca. Il termine polisemos, sebbene applicato nell’Epistola a Cangrande all’esegesi biblica, trasmette più di altri il senso complessivo del poema e, in parte, dei meccanismi allegorici ad essa sottesi. Non ascrivibili ad una sola procedura , essi non appartengono in. modo esclusivo al campo retorico, e tantomeno rinviano ad una sola tradizione, sia essa quella classica o quella cristiana, ma sono elaborati in modo da offrire una sintesi inedita, una summa di origini e di provenienze in cui rimangono riconoscibili i costitutivi. Se dunque di rivoluzione si tratta, essa è perciò ricavabile dal modo in cui Dante ha saputo imporre una forma di plurilinguismo socialmente orientato , capace di trasgredire e di riformulare le attese del lettore a lui contemporaneo. Lo smarrimento nella selva lascia intendere che le certezze fino a quel momento offerte dal simbolismo medievale sono entrate in crisi e la possibilità di comunicare con la trascendenza è stata interrotta. I dubbi del pellegrino, che non riesce più a percorrere la via del colle, minacciato dalle tre fiere, è quello di un mondo disorientato e inquieto, che comincia a sfaldarsi perché sospinto dall’ascesa di nuove forze economiche e dai mutamenti ad esse collegabili. Dante affronta questa perdita di senso e scommette, con la Commedia, sulla possibilità di intraprendere una nuova strategia allegorica, capace di attribuire ancora al singolo gesto dell’uomo un significato generale .

Date: 2022-10-12