La Medusa dell’Inferno dantesco di Francesco Cipolla (rec) [Flaminio Pellegrini]

Dati bibliografici

Autore: Flaminio Pellegrini

Tratto da: Gironale storico della letteratura italiana

Numero: 24

Anno: 1894

Pagine: 286-287

Francesco Cipolla, La Medusa dell'Inferno dantesco. — Venezia, tip. Ferrari, 1893 (pp. 4).

Col primo opuscolo1 l'A., convinto che nelle allegorie dantesche resti ancor molto da spiegare e che, in questo campo, gli antichi fossero più addentro dei moderni interpreti, ricerca qual sia il vero senso da attribuirsi alla Medusa dantesca nel C. IX dell'Inferno. In ragione dei noti versi «O voi che avete gl'intelletti sani...» nei quali il Poeta allude alla difficile spiegazion del simbolo, non crede che Medusa possa esprimere semplicemente la paura, come vorrebbe Benvenuto da Imola, e nemmeno l'amore sensuale, come intendono i più: deve racchiudere invece un alto significato, che meglio s'accordi con l'allegoria generale del Poema. Dante (ben ragiona il Cipolla) era stato presso a morte nella selva selvaggia. A sua salute era corto ogni argomento, fuori che il viaggio oltremondano (Purg., XXX, 136). Tutto ha qui significazione morale. L'induramento del cuore, quell'induramento di cui parlano le scritture, gli avrebbe tolto questo scampo unico. A tale scopo le Furie mirano e perciò chiamano Medusa. Essa dunque senza simboleggiare alcuna passione particolare in certo modo le significa tutte, in quanto portano l'induramento morale; petrificano l’anima nel male. E si noti che dette passioni il Rambaldi, seguito dal C., riconosce nelle Furie le quali «occurrunt homini volenti vincere vitia, sicut modo Dantes»2. Pressa poco nel senso stesso intende Medusa anche il Boccaccio in quel luogo del commento dove scorge in essa «la ostinazione, «in quanto faceva chi la riguardava divenir sasso, cioè gelido e inflessibile». Insomma Dante nel complesso dell'allegoria presente ci insegna che, quando alle passioni peccaminose s'aggiunge l'ostinazione, l'uomo ha perduta la speranza di salvarsi.
Buona conferma alla spiegazione medesima dà il Petrarca, nella canzone alla Vergine («Medusa e l'error mio m'han fatto un sasso» ecc.) in cui la Gorgone comparisce con significato allusivo all’indurimento d'animo prodotto dalle passioni. Se, aggiunge il Cipolla, si volesse ravvisare nella Medusa del Petrarca un ricordo dantesco, anche appoggiandosi sul vera beatrice della stanza quarta, avremmo qui sempre un’interpretazione antica e degnissima di considerazione. A chi scrive il confronto tra la Medusa petrarchesca e quella del C. IX Inf., sembra doversi instituire con maggiore probabilità che il Cipolla non ponga, per motivo d'una apparente concordanza col sonetto «Geri, quando talor meco s'adira» nella parte I° del Canzoniere. Quivi infatti (v. 10) si nomina un'altra volta Medusa; ma, appunto perché in quel momento il ricordo dell’Inferno non poteva attraversare la mente del Petrarca, trattandosi di rispondere per le rime a un sonetto d'amore, Medusa resta la Gorgone antica, nulla più. Invece nella canzone a Maria scritta in età più matura, molto verosimilmente sotto quell'influenza della musa dantesca che si manifesta nei Trionfi, il simbolo si determina nel senso attribuitogli dall'Alighieri.

Notes
1
Estr. d, Atti del R. Arch. Veneto di scienze, lett. ed arti, t. V della serie VII, disp. I, pp. 53-55.
2
A questo luogo potevansi ricordare i versi leonini citati da Pietro di Dante, dai quali apertamente risulta che le tre furie significano anche per lui i peccati, appunto divisi nelle tre categorie, di pensiero, di parole è d'opere.
Date: 2022-01-20