Commento alla Divina Commedia (Inferno IX) [Vittorio Rossi]

Dati bibliografici

Autore: Vittorio Rossi

Tratto da: Commento alla "Divina Commedia". Con la continuazione di Salvatore Frascíno. Tomo I

Editore: Salerno, Roma

Anno: 2007

Pagine: 215-222

Proemio al canto nono

Il dramma iniziatosi, come s'è detto, a mezzo il settimo canto e fattosi sempre più intenso e tormentoso, ha qui la sua lieta catastrofe. Lo spirito del poeta è un fervido pensare i concetti etico-religiosi a noi ben noti, un tumultuoso e doloroso brulicar di appetiti mondani, un ragionare gagliardo, che solo lentamente riesce a dominarli e trasformarli in inflessibile volontà razionale. La poesia ansiosa e in fine solennemente gioiosa di codesta vita interiore è, nella fantasia, la lorda pozza fumigante intorno alle mura affocate di Dite, è il litigio rabbioso coll’Argenti, è infine la gran scena che si svolge a cavaliere tra l’ottavo e il nono canto.
Dante, ripiegandosi su sé stesso, poté analizzare la rappresentazione di codesta scena e allegorizzando astrarne una «dottrina», sulla quale, in una pausa dell’impeto creativo (vv. 61-63), richiamò l’attenzione del lettore. L’uomo che, assetato di pura spiritualità, esce dalla selva delle passioni, può sentire affievolirglisi, nella lotta contro il risorgere della sensualità (l'opposizione dei demòni), l'energia del volere per la stanchezza della resistenza tenacemente durata e per il ricordo mordente (le Furie) delle debolezze passate; ma quando lo consigli e conforti la ragione (Virgilio) e lo sorregga la fede (Inf., VIII 104-5, 130; IX 8), non dispererà (Medusa non potrà nuocergli), e la sua libertà morale, pel cui riacquisto s'è imposta l’austera disciplina del dovere, sarà salva, così disponendo la Grazia, ausiliatrice potente e misericordiosa (il mandato di cielo).
Noi, contemplando la creazione nella sua pura immediatezza espressiva, dobbiamo cercar di sentire e gustare la poesia del momento spirituale dantesco, poesia che sale dalla contenuta comicità malinconica della figurazione del viatore spaurito (vedasi la fine del proemio all’ottavo canto) al sublime della rappresentazione del «messo».
Virgilio, reduce dal vano colloquio coi diavoli, procura nascondere il suo turbamento per non accrescere l'angoscia del discepolo. Ma quando si ferma di botto (e fermarsi lo vediamo in un verso, il quarto, che pare colpo di scalpello con cui uno scultore tragga miracolosamente dal blocco grezzo la statua) egli è così intento ad ascoltare se giunga l’aspettato soccorso, da non accorgersi che l’interna riflessione dolorosa gli si forma sul labbro in parole sonanti, sino a due monosillabi di oscuro significato (vv. 7-8), che rompono la sua distrazione. E s’affretta a troncare la frase, a ricordare di nuovo Beatrice scesa dal suo beato scanno, a ripetere impaziente l'annuncio confortatore. Il maestro, la guida, vive qui, come in tutto il resto del canto, la vita di un padre teneramente amoroso. Dante si adombra di quella reticenza e, ripreso dalla paura, vorrebbe almeno chiarirsi se Virgilio non siasi messo allo sbaraglio di quel viaggio senza conoscere la strada. La domanda potrebbe però riuscire offensiva, ed egli gira largo chiedendo un’informazione generica (vv. 16-18). Virgilio capisce il gergo e narra di essere disceso altra volta nella «città roggia», quando Eritone, immonda e crudele maga di Tessaglia, lo costrinse co’ suoi scongiuri a trarre uno spirito, proprio dal pit profondo cerchio d’Inferno. La storiella, intesa a spiegare come Virgilio avesse pratica delle vie d’abisso, ma qui inserita come parte viva d’una scena di finissima psicologia, è d’invenzione dantesca, tuttoché alcuni elementi vengano dall’Eneide (VI 562-65), dove la Sibilla, giunta coll’eroe troiano alle porte del Tartaro, dice d’esservi già discesa per volere di Ecate o Proserpina, e altri dalla Farsaglia (VI 507-827), dove di Eritone sono descritti ampiamente i costumi e le arti e si narra, fra altro, che interrogata da Sesto Pompeo quale avesse ad essere la fine della guerra civile, rianimò il cadavere d’un giovane soldato per averne la predizione richiesta.
Il pauroso viatore potrebbe dunque riprender coraggio; quand’ecco lo atterrisce una nuova apparizione: le Furie, che il poeta annuncia in versi, aspri di accenti e scalpitanti di alliterazioni martellanti (vv. 35-38), dei quali è più sensibile l’effetto perché scattano improvvisi dopo altri versi, gli ultimi del rassicurante discorso di Virgilio, di cheta e scorrevole andatura. Sono le Furie di Virgilio [Aen., vi 570-72; vi 324-29; x1 845-48], di Ovidio [Metam., IV 451-54 e 481-96], di Stazio [Theb., I 103-15], riviste con intensità nuova dal poeta che le trasferisce in questo Inferno cristiano, fissate dalla parola in una figurazione raccolta e plastica (vv. 38-51). C'è in esse qualche tocco di sapor medievale; ma le linee del disegno hanno una sobrietà, una dignità, una compostezza, tanto pit mirabili quanto pit il soggetto si prestava alle grottesche bizzarrie dell’arte romanica. Alla vista delle «feroci Erine» e alle loro alte grida, Dante si accosta stretto stretto a Virgilio (v. 51), come un bambino spaventato alla gonna della mamma: è l’ultimo tratto comico della rappresentazione della sua paura. Fra poco ogni minaccia sarà debellata.
Già due volte (Inf., VIII 127-30; IX 9) nella vastità raccapricciante di quel paesaggio di tenebre e d’orrore ha risonato l'annuncio del debellatore misterioso. Nella nostra fantasia si disegna vagamente una grande immagine di potenza. Poi, quando ancora il personaggio misterioso non è comparso, la sua possa balza d'improvviso a un’immensità gigantesca. Un fragor d’uragano passa nell’aria opaca sul torbido specchio della «morta gora», e ne trema l’una e, lontana lontana nello sfondo, l’altra riva di Stige. Rintrona di quel fragore tutta la fantasia del poeta, rintronano i versi nel descriverlo simile alla furia del turbine estivo, che s’abbatte sulla selva e va, preceduto da un gran nembo di polvere (vv. 64-72). Le tre terzine formano un'unità perfetta; la loro struttura è di una naturalezza che pare fatalità, nel ritmo alternato di lentezze e di impeti, nel succedersi di suoni aspri e laceranti, nella collocazione delle parole. Un rilevato epiteto umano, «superbo», dà a quel turbine, a quel fragore un’anima impassibile nella coscienza della sua gagliardia.
Abbiamo sentito avvicinarsi una potenza sterminata, tremenda, nel buio. Nella luce caliginosa, prima immagine visiva un'immagine di cedevolezza e d’innocuità: «Come le rane»; alle quali, fuggenti a riva la «nimica biscia», s'assomigliano d'aspetto e di cuore le ombre della palude, che pur dianzi si straziavano rabbiosamente e ora sono «distrutte» dalla paura. Allorché abbiamo negli occhi tale prodigioso suo effetto, quella potenza appare persona (vv. 80-84). La gran possa è nella sola presenza di quell’«uno», ed egli avanza lento, sicuro, senza fatica, sfiorando la «belletta negra» e allontanando dal volto con gesto misurato la molestia delle fumose esalazioni; personaggio d’una possanza, d’una gravità, d’una dignità sovrumane, creatura di sogno, circonfusa, i suoi contorni plastici, d’un’aureola di sovrumana luce morale. Dalla solennità liturgica dei versi, che si succedono con ritmo uniforme in suoni larghi e chiari, emana lo spirito insito in quell’apparizione; nuovo miracolo di stile nato dalle cose.
È apparso nel cuore dell’Inferno un essere di Paradiso, un «messo» di cielo, un angelo. Dopo il tremendo fracasso, si fa tutt'intorno un silenzio mistico; Dante si rivolge al maestro, interrogando muto (v. 86); Virgilio gli fa cenno d’inchinarsi, rispondendo muto (v. 87). Quell’«uno» è alla porta, guardata da più di mille demòni, dalle Furie, da Medusa; quell’«uno» la tocca con una «verghetta», e la porta si spalanca. Esile il mezzo, grandissimo l’effetto; e la rappresentazione, d’una semplicità nuda, di questa vittoria dell’onnipotenza divina sulla tracotanza diabolica, ci lascia come storditi. In quel silenzio, spaventoso a’ malvagi, tuona la voce dell'Angelo con parole di collera alta, dignitosa, santa, di trafiggente rampogna nel ricordo d’altre sconfitte infernali (v. 98), di contenuta ironia e d’amara irrisione nel modo di quel ricordo («se ben vi ricorda»).
Indi il «messo celeste» s'avvia a ripassare la palude, senza far motto ai poeti, per i quali ha lasciato la sua sede beata. Formidabile ministro della potenza, esecutore della volontà divina, ha adempiuto la sua missione, né d’altro gli importa; risale al cielo. Così non pure la mistica figura ha degno compimento, ma il viaggio di Dante riceve nuova e solenne conferma al suo carattere di fatalità inesorabile. - Il dramma dell'anima dantesca, iniziatosi a mezzo il settimo canto, si chiude felicemente.

1-3. Quel color...: il pallore che la paura di fuor mi pinse: mi spinse sul volto, vedendo Virgilio tornare in volta: indietro, ricacciò dentro prontamente il «nuovo» colore di lui, cioè il colore insolito che lo sgomento e il corruccio gli avevano spinto sul viso (cfr. Inf, VIII 118-19; 121). La tenerezza, quasi di padre che non voglia angustiare il figliuolo, fa forza al turbamento di Virgilio, che perciò ricompone le sue sembianze, e sul suo volto torna il color naturale.
1. di fuor mi pinse: si contrappone a «dentro ristrinse» del v. 3; il che mi pare escluda la più comune interpretazione: ‘mi dipinse sul volto’. Secondo la fisiologia del tempo, la paura, mentre fa rifluire il sangue al cuore, quasi «spreme» sul volto un colore smorto.
3. più tosto: più prestamente che non sarebbe accaduto, se non avesse visto Dante spaventato.
5. menare a lungo: condurre (a vedere) lontano di là.
7. punga: frequente anche fuor di rima e in prosa, per «pugna»; l’opposizione dei diavoli.
8. Tal: Beatrice; si ricordi Inf., II 52 sgg.
9. altri: il soccorritore già annunciato alla fine del canto VIII.
10-11. ricoperse lo cominciar...: corresse, rappezzò la proposizione cominciata e rimasta sospesa («se non...») mediante il ricordo di Beatrice venuta ad affidargli l’alta missione («Tal ne s’offerse!»).
12. che fur parole...: minacciose le prime, confortevoli le altre.
13. dienne: diede per causa di quel «cominciare».
14-15. la parola tronca...: la reticenza ha significato pit sinistro che Virgilio non le avesse dato.
16. In questo fondo ...: in questa parte bassa dell’Inferno, nella città di Dite.
17. del primo grado che...: del Limbo, dove altra pena non c'è che la speranza cionca: mozza; dove il dolore è «sanza martiri» e le anime vivono «sanza speme» (Inf., IV 28-42).
20. incontra: accade.
23. congiurato: costretto per forza di scongiuri magici.
24. a’ corpi sui: ai loro corpi.
25. Di poco...: parla l’anima di Virgilio, il quale morì il 19 a.C.
27. del cerchio di Giuda: del nono e ultimo cerchio d’Inferno; dunque Virgilio aveva già percorso proprio tutta la valle d’abisso, e Dante poteva rassicurarsi.
29. dal ciel che...: dal primo mobile, che tutto avvolge l’universo nei suoi giri.
31. spira: esala.
33. u’: dove. Sanz’ira: colle buone.
35. m'avea tutto tratto: aveva tratta tutta la mia attenzione.
36. ver l'alta torre...: verso la torre di cui fa cenno Inf., VIII 5, e precisamente «alla cima rovente» di essa.
37. ratto: d'un subito.
39. atto: atteggiamento.
40. idre: serpi d’acqua. cinte: alla vita.
41. ceraste: serpenti cornuti.
43-44. le meschine della regina...: le ancelle, le serve di Proserpina, regina dell'Inferno.
45. Erine: oggi Erinni, altro nome delle Furie.
48. a tanto: dopo aver detto questo; cfr. Inf., IV 99.
50. a palme: colle palme.
51. sospetto: paura.
52. di smalto: di sasso, perché Medusa, la minore delle Gòrgoni, figlie di Forco, aveva la proprietà di convertire in pietra chi la vedesse.
54. mal non vengiammo ...: avemmo torto a non far vendetta («vengiare»: ‘vendicare’) dell’assalto di Tesco, sceso all’Averno per rapire Proserpina.
55. lo viso chiuso: chiusi gli occhi.
56. Gorgòn: Medusa.
57. nulla sarebbe...: del tornar su nel mondo, non se ne parlerebbe più.
58. stessi: stesso; cui gli antichi davano talvolta la desinenza i per analogia con egli, quegli, questi.
59. non si tenne: non stette pago.
60. non mi chiudessi: non mi chiudesse gli occhi.
61. ch’avete...: che avete fior di senno. L’avvertimento si riferisce insieme a ciò che precede e a ciò che segue.
67. che d’un vento: che il fracasso d’un vento.
68. pergli avversi ardori: per il gran calore che in un luogo si contrappone alla più bassa temperatura di un altro; l’impeto del vento è tanto più violento quanto maggiore è lo squilibrio della temperatura fra le due regioni contermini.
69. fier: fiere, ferisce, percuote; latino ferit.sanz’alcun rattento: senza che nulla possa trattenerlo, frenarlo nel suo impeto.
72. dinanzi polveroso: sollevando e spingendo innanzi a sé un gran nembo di polvere.
73-74. drizza il nerbo del viso: appunta, aguzza lo sguardo.
75. per indi: da quella parte. più acerbo: più denso e quindi pit pungente agli occhi.
78. S’abbica: forma bica, mucchio, del suo corpicciuolo; «bica» è propriamente ‘mucchio di covoni’.
79. distrutte: sfatte, annientate dallo spavento.
80. al passo: movendo il passo, camminando.
84. angoscia: la molestia dell’«aere grasso», cioè denso per le esalazioni della palude.
85. era da ciel messo: era mandato di cielo; forse con significato di trapassato: era stato mandato.
90. ritegno: ostacolo.
91. dispetta: spregevole e spregiata.
93. s’alletta: si raccoglie, proviene.
94-95. recalcitrate a quella...: riluttate a quella volontà cui non può essere troncato il fine, che non può operare a vuoto, il cui adempimento non può mai essere impedito; alla volontà divina.
97. nelle fata: nei decreti della Provvidenza.
98-99. Cerbero vostro ...: Cerbero, avendo cercato di impedire ad Ercole l’ingresso nell’Averno contro la volontà del Fato, fu incatenato dall’eroe e condotto sulla terra, e porta ancora al mento e al gozzo i segni della catena.
100. la strada lorda: la palude.
102-3. cui altra cura...: inteso, per dovere e per desiderio, a curarsi d’altro che di colui che gli sta dinanzi. La cura dell’angelo era di tornare al cielo.
106. gli: vi. guerra: opposizione.
108. la condizion...: che cosa vi sia e come si stia là dentro. che: oggetto di «serra».
110. e veggio...: come allarga, nel verso dai suoni larghi e chiari, il paesaggio! È una vasta pianura, desolata, squallida, deserta; i diavoli, le Furie, Medusa, tutto quel grande apparecchio di guerra è scomparso: nuovo tocco aggiunto alla rappresentazione dell’onnipotenza dell’angelo. ad ogne man: da ogni parte.
112-15. Sì come ad Arli...: presso Arles, in Provenza, sulla collina dei Campi Elisi, sono sparse tombe romane, alle quali si abbarbicarono nel medio evo leggende cavalleresche; così una necropoli romana si allineava, fino al secolo XV, lungo la strada che da Pola, nell’Istria, conduce a Medolino, quasi in riva al Quarnaro o Carnaro.
114. ch'Italia chiude...: qui Dante segna il termine orientale d’Italia sui contrafforti delle Alpi Giulie, che scendono al canale della Morlacca di fronte allo scoglio di S. Marco, limite del Carnaro.
115. varo: vario, variato, rugoso.
117. il modo vera...: il modo delle sepolture era più doloroso.
119-20. sì del tutto accesi, che...: così arroventati che nessun’arte di fabbro richiede che pit incandescente sia il ferro per lavorarlo.
121. sospesi: sollevati.
127, eresiarche: forma antica del plurale d’«eresiarca», come «patriarche» di «patriarca», «poete» di «poeta», ecc.
129. pit che non credi ...: perché l'eresia è peccato occulto e gli eretici sono pit che non si creda.
130. Simile qui...: in ogni tomba i seguaci d’una stessa eresia.
132. alla man destra...: notato, perché di solito nell’Inferno il cammino dei poeti è invece verso sinistra.
133. trai martiri ...: tra gli avelli roventi e le mura della città.

Date: 2022-01-10