Commento alla Divina Commedia (Inferno IX) [Francesco Torraca]

Dati bibliografici

Autore: Francesco Torraca

Tratto da: Commento alla Divina Commedia. Tomo I

Editore: Salerno, Roma

Anno: 2008

Pagine: 167-175

1-3. Quel colore pallido, che la viltà mi pinse, mi dipinse fuor, in viso, quando vidi il mio maestro tornare in volta, addietro; pit tosto, più prestamente restrinse, ricacciò dentro, il suo novo, il color rosso, in cui s'era la prima volta acceso Virgilio per la vergogna. Vedendo il discepolo spaventato, Virgilio si affrettò a ricomporsi. — Pinse: per la paura «il sangue si smuove dalle membra di fuore e torna a quelle dentro». Colonna I III 9; cfr. Inf. IV 20; I 81 nota.
4-6. Attento nell’atteggiamento della persona e nell'espressione del viso, Virgilio incoraggiava meglio Dante mostrando di creder imminente l’arrivo del soccorso. — Che ascolta: non potendo vedere: tolto dal vero. — A lunga: lontano, era dell’uso. — Nebbia: cfr. Inf. VIII 12.
7-9. A noi converrà: bisognerà che noi: noi dovremo. — Punga: pugna, forma popolare. — Se non: spunta un dubbio, ma è subito cacciato via. — Tal ne s'offerse: risponde al dubbio ripensando qual persona sia quella, che si offri ad agevolare il loro viaggio: Beatrice. Cfr. Inf. II 124: «tai tre donne». — Tarda a me: cfr. Inf. II 80, XXI 25.
10-12. Ricoperse il dubbio sfuggitogli al principio, al cominciar del discorso, mostrandosi impaziente di veder giungere chi avrebbe vinto la resistenza dei demoni.
13-15. Ma nondimen: nonostante il tentativo di Virgilio, di ricoprire ecc., e della reticenza e del mutamento nelle parole, Dante si era accorto, e ne ebbe paura. — Traeva a peggior sentenzia: tiravo a senso peggiore. Cfr. Conv. II 13 [ma II 12 1]: «Poiché la litterale sentenza è sufficientemente dimostrata, è da procedere alla sposizione allegorica e vera». — La parola tronca: il «se non» sfuggito a Virgilio.
16. Dante dubita che Virgilio si sia assunto l’incarico di guidarlo senza aver esatta conoscenza dell’Inferno e de’ pericoli e degli ostacoli, che vi avrebbero incontrati; ma cura di non offenderlo, muovendogli una domanda generica, usando «parlar coperto» come nel c. IV 45 segg. — In questo fondo: allude alla parte dell'Inferno, chiusa dentro le mura. Nel c. VIII 75, Virgilio ha detto: «in questo basso Inferno», più sotto (v. 28) dirà qual sia «il più basso luogo». — Conca: nel c. XIV 124, dirà: «il luogo è tondo». — 17. Mai alcun: così nel c. IV 49. Qui la domanda nasconde male la trepidazione. — Grado: cerchio. — 18. Cfr. Inf. IV 42. — Cionca: mutilata, propriamente priva delle gambe; la parola vive ancora nei dialetti meridionali.
19. Question: domanda. — 20. Incontra: accade, càpita. «La ragione per che ciò incontra, brievemente ora qui mi piace toccare». Conv. I 1. — Di nui: di noi, che stiamo nel primo cerchio. — 21. Alcun: va con di nui.
22-27. Racconta Lucano nella Farsaglia, VI 420 segg., che Sesto figliuolo di Pompeo, impaziente di sapere come sarebbe finita la guerra tra suo padre e Cesare, ricorse alla maga tessala Erittone, la quale richiamò l’anima d’uno, morto da poco, e la costrinse a rientrar nel corpo e parlare. Cfr. Fatti di Cesare: «Eriton rispose: E se io trovo un corpo morto di novello, io vi posso fare tornare l’anima e farmi dire di quanto lo voglio domandare». — Congiurato: costretto dagli scongiuri; nei F di Ces. «coniuramenti» e «scongiuramenti». — Cruda: Lucano la descrive crudelissima nelle immonde sue operazioni. Fatti di Cesare 187: «Secca era e pallida, meschiata con colore pallido e nero; l'aspetto suo era orribile e spaventevole: scapelliata stava: l’ombre che erano intra li sepolcri le fuggivano dinanzi... Molti giovani uccise ... Molte corde d’impiccati tagliò coi suoi denti, e traeva loro le merolla (midolla) de l’ossa ecc.». — Di me: di me spirito, dell'anima mia. Cfr. Inf. XXVII 73. — Ch'ella: quando ella. — Mi fece entrar: nella Farsaglia, Erittone comanda direttamente alle divinità infernali. - Quel muro: della città di Dite. — Un spirto del cerchio di Giuda: l’anima di un traditore. Dell’episodio di Lucano, Dante si giovò per dar verisimiglianza alla sua invenzione di una prima discesa di Virgilio nel basso Inferno, e suppose che la maga fosse rimasta in vita ancora 30 anni e pit dopo la battaglia di Farsalo.
29. Perché lì presso è il centro della terra, quel cerchio è pit lontano dal Primo Mobile, dal cielo, che comprende tutti gli altri. Cfr. Par XXVII 113. — 30. Mostra d’aver ben compreso perché Dante avesse fatto «la questione». — Però, perciò; ti fa sicuro, riacquista sicurezza, sii sicuro.
31-32. Sembra che Virgilio cominci questa descrizione, che resta interrotta, per provare che veramente conosce bene «il cammino». — Che ’l gran puzzo spira: particolare nuovo. — Cinge d’intorno: perché essa stessa è uno de’ cerchi infernali. — Città dolente: cfr. IV 77, «terra sconsolata». — Potemo: possiamo, frequentissimo. Come volemo, solemo, ecc. è un residuo della 2a coniugazione. — 33. Senz'ira: non avendo potuto con le buone.
34. Ed altro disse: della conformazione di quel «basso Inferno». — Non l'ho a mente: perché fu distratto da ciò, che vide. — 35. L'occhio aveva tratto tutto me, ecc. Divenne tutt’occhi, e non badò ad altro. — Tutto: efficacissimo. Lo spettacolo improvviso ed orribile, produce impressione ben diversa da quella della semplice vista delle fiammette nel c. VIII 3. — 36. L'alta torre: di una torre alta, al di là dello Stige, unita alle mura della città di Dite, il poeta non avrebbe fatto menzione alcuna, se non s'intendesse come allusivo ad essa il cenno del c. VIII 5: «E un’altra». Il qual cenno fa parer probabile che anche qui si debba legger altra. Lo scambio di altra con alta non è raro nei manoscritti: cfr. Inf. XVII 95. — Alla cima: cfr. Inf. VIII 3. Di nuovo distingue e nota dove, verso che si volgano gli occhi e su che si fermino. — Rovente: cfr. VIII 70-74. 37. In un punto: in un momento: cfr. Inf. XXII 122. — Ratto: apparse improvvisamente, si levarono rapidamente; dopo il tempo, il modo dell’apparizione. — 38. Di sangue tinte: nell’En. VI 444, Tesifone sta su l’alto di una torre, a guardia del vestibolo dell’Inferno, «in veste insanguinata». — 39. Atto: atteggiamento, o gesto.
40-42. Fu opinione degli antichi che le Furie fossero avvolte da serpi, e serpi avessero invece di capelli. Cfr. En. VIII 329, XII 848; [Ovidio,] Metam. IV 485. — Idre, «spezie di serpenti, i quali usano nell'acqua»; ceraste, «una spezie di serpenti li quali hanno uno o due cornicelli in capo». Boccaccio Comm. XXXV [Esposizioni, cit., c. IX esp. litt. 18 e 19]. Dante rammentava che Ovidio, Metam. IV 803, dice mutati in «turpi idre» i capelli di Medusa; e Stazio, Tebaide 1103, descrive il volto di Tesifone adombrato da «cento ceraste, minor turba del terribile capo». Nelle Metam. IV 195, «Tesifone ha bisce intorno alle tempie». — Verdissime accresce il ribrezzo, che la sola vista del serpente suole ispirare. — Fiere tempie: cfr. V. 45; degne di siffatta capigliatura.
43-45. Ben conobbe: ne aveva parlato più volte nell’Eneide. — Meschine: serve; la parola, d'origine araba, significò anche infelici. — La regina: Ecate. Cfr. Inf. X 80; Teb. I 85: «Regina del tartareo baratro». — Erine: Erinni, uno de’ nomi, che i Greci davano alle Furie; Erines nel latino del Medio Evo Cfr. Eberardo Grecismo X 219.
46-48. Megera, Aletto, Tesifone erano, secondo gli antichi, sorelle, nate dalla Notte. Fu generalmente creduto, nel Medio Evo, che Tesifone significasse voce d'ira, Megera lungo contendere, Aletto mancanza di requie, e fossero chiamate Furie perché «muovono a furore». Corrispondono, dunque, alle tre specie d’ira (acuta, difficile e grave) punite nella palude; e la loro presenza alla riva di Stige conferma che questo accoglie solo gl’iracondi. V. i caratteri della specie dell’ira nel commento di S. Tommaso all’Et. IV 13. A differenza di altri mostri infernali, non appariscono all’entrata del cerchio loro, bensì di là dall'uscita; ma non, forse, per altra ragione che d’arte. La loro apparizione e il tentativo, che fanno, di mutar Dante in sasso, sono la continuazione della resistenza dei demoni. O sono accorse a portar l’aiuto loro a’ demoni senza che Dante, per il «fummo», se ne sia accorto? Se non posero esse le due fiammette su la prima torre, chi le pose? — Piange: per ira. Virgilio, En. VII 324, chiama Aletto «cagione di pianti». Ma si può credere che tutte tre piangano, benché di una sola sia detto «che piange».
49-50. Il fendersi il petto con le unghie, il battersi a palme, il gridar alto son tutte manifestazioni d’ira furiosa e di dolore violento. Sette Savi: «Forte cominciarono a gridare e a battersi a palme e istracciarsi i loro capegli». — 51. Altre volte Dante racconterà d’essersi avvicinato, stretto al maestro per sospetto, per timore.
52. Medusa: il capo di Medusa, che ebbe i capelli bellissimi trasformati in serpenti da Pallade, e fu uccisa da Perseo, aveva la prerogativa malefica di mutare in sasso chi lo guardava. Metam. IV in fine, V 130 segg. — Di smalto: di sasso; «selce» nelle Metam. VI 14. — 54. Mal: male, avverbio; cfr. Inf. XII 66. Sono pentite di non aver punito Teseo, il quale osò, con l’amico suo Piritoo, penetrare nell’Inferno e trarne fuori Proserpina. A questo fatto allude Caronte nell’En. VI 399. — Vengiammo: vendicammo. Tristano LXII: «Si vuole andare ... a vengiare la morte del padre». Cfr. Inf. XXVI 24.
55-60. Lo viso: gli occhi. Cfr. Inf. IV 11. — Il Gorgon: Medusa era una delle tre figliuole di Forco, dette Gorgoni. — Nulla sarebbe di tornar: non torneresti pit. Cfr. Inf. XXII 143. Nov. Ant. CXLVIII [178]: «Non era neente di poterlo trarre de la fossa». Nelle Metam. V 179, al momento di mostrar la testa di Medusa ai nemici, Perseo raccomanda agli amici: «Volgete il viso altrove». — Stessi: stesso, forma popolare, usata anche da altri e fuor di rima. — Non si tenne così che con le sue ecc. Cfr. Conv. I 3 [8]: «Non si tiene alli termini del vero». All’affettuosa cura di Virgilio, non basta il consiglio: «volgiti indietro e tien lo viso chiuso», egli stesso volge Dante, e alle mani di lui sovrappone le sue, tanta è la gravità del pericolo, e tanto egli la sente.
61. «È da sapere che lo nostro intelletto si può dire sano, quando per malizia d’animo o di corpo impedito non è nella sua operazione, che è conoscere quello, che le cose sono». Conv. IV 15 [11].— 62. La dottrina: il senso allegorico, «quello, che si nasconde sotto il manto di queste parole, ed è una verità ascosa sotto bella menzogna». Conv. II 1 [3]. — 63. Velame: velo. Cfr. Inf. XXXIII 27 e, per l’esortazione, Purg. VIII 20-22. — Versi strani: questi, che raccontano l’apparir delle Furie, la chiamata di Medusa, la cura, con cui Virgilio provvede a impedire che Dante guardi il Gorgone, non sono de’ soliti, perché, oltre il senso letterale, ne hanno un altro. La dottrina, che s'asconde sotto il loro velame, può esser questa: le Furie (l’ira dell’Inferno, che si vede sfuggir la preda) tentano d’impedire all’uomo, al cristiano, di redimersi; d’impedirlo mediante il terrore dei pericoli, a cui va incontro. Medusa, la quale, con solo mostrarsi «atterrisce» e pietrifica, rappresenta quella, che S. Tommaso (Somma t. I II 40) chiama «insolita imaginazione», causa di timore grandissimo, di «stupore». Già nelle Metam., V 195, Erice diceva a’ compagni: «Il torpore v’invade, non per virtù del Gorgone, ma per vostra codardia». S. Tommaso, l. cit., avverte: «Chi è stupito, teme così di giudicare del presente, come di ricercare il futuro: lo stupore è impedimento alla meditazione filosofica»; e 44: «Quando il timore cresce tanto da turbar la ragione, impedisce non pure al corpo, ma anche all’anima di operare».
64. E già venta: stimola la curiosità; ma non la soddisfa subito. In questo terzetto tarda a dire quel, che venia: e per sei terzetti tarderà a dire chi. — 65. Un fracasso: con gli occhi chiusi, Dante non poteva vedere; ma udiva. — D'un suon ecc. Era un fracasso spaventevole a udire. Il verso, con le consonanti aspre e sibilanti, e con le parole tronche (un, un, suon, pien) rende mirabilmente l'impressione del fracasso. — 66. Tremavan: seguito da una pausa e premesso al suo soggetto, ispira l’apprensione vaga dell'ignoto. — Amendue: qual cosa doveva esser quella, che faceva tremare le due sponde, tutt'e due, tanto distanti l'una dall'altra!
67. Che d'un: che il fracasso d’un. — 68. Canz. Io son venuto st. 2a [Rime, XLIII 14-17]: «Levasi dalla rena d'Etiopia Un vento pellegrin, che l’aer turba, Per la spera del sol, ch’or la riscalda, E passa il mare». A questo è «opposito e contrario» il vento di settentrione. Ristoro VII 3 [Composizione del mondo, I 20]. — Si noti la lentezza e l'energia d’impetuoso. — 69. Fier: ferisce, usitato. Cfr. sest. Amor mi mena st. 2a : «Sua luce mi fier sì, che il cor m’impietra»: Nov. Ant. CIV [102]: «Lo vento che fiere alli arbori». — Rattento: cosa, ostacolo, forza, che rattenga.
70. Tre effetti diversi, consecutivi, del vento impetuoso, in un solo verso, non meno espressivo che preciso; il vento schianta col suo impeto i rami, li getta a terra, li porta fuori della selva. — 71. Dinanzi polveroso: preceduto dalla polvere, che solleva in alto; e il procedere della polvere mostra che il vento va.— Superbo: quasi abbia coscienza della sua forza e goda delle rovine, dello spavento, che diffonde nel suo passaggio. — 72. Cfr. Virgilio Georg. I 330, del fulmine: «Ne trema la terra; fuggirono le fiere e lo spavento prostrò i cuori dei mortali». Non è certo, però, che Dante conoscesse le Georgiche. La descrizione è dal vero. Descrivendo lo stesso oggetto, la stessa scena, scrittori diversi necessariamente s’incontrano nei particolari. Cfr. Ristoro VII 4 [Composizione, cit., II 7 4]: «Avemo già veduto senza inganno... al vapore aureo (aereo), lo quale è chiamato vento, disfare e diradicare i grandissimi arbori, e attorcerli e spezzarli tutti, e sentiamolo venire da lungi, che ne pulsa e fiede (è il fiere di Dante), e noi non lo vedemo». Tutta la descrizione, in cui ben tredici volte ricorre la r, è come accompagnata dal rombo del vento; alcune parti di essa acquistano speciale rilievo dalla collocazione di certe parole (impetuoso, fier, schianta, va).
73-75. Drizza: dirigi; ma molto pit energico. — Il nerbo del viso: la forza della vista; guarda ben bene. — Schiuma antica: le acque schiumose della palude. — Per indi: per quella parte. - Fummo: cfr. Inf. VIII 12. — Più acerbo, perché più denso. Questa circostanza della maggiore densità del vapore dichiara l’esortazione a drizzare il nerbo del viso.
76-78. Probabilmente il poeta ricordò la favola di Fedro, I 2. — Si dileguan: fuggendo rapidamente. Cfr. Inf. XVII 136. — S'abbica: propriamente bica è un ordinato mucchio di covoni.
79-81. Distrutte: vinte dalla paura, sgomentate. Cfr. disfatto nel c. preced. 100. — Un: non sa ancora chi sia. — Al passo: senz’affrettarsi; primo indizio di quella gravità, che vedremo in tutti gli atti di quell’uno. — Asciutte: e pure camminava su le acque! Cfr. Matteo X 5: «(Gesù) venne ad essi camminando sul mare. E vedendolo camminare sul mare, ne furono turbati». Ma «camminare» non desta tanta maraviglia, quanta l’imagine così precisa e cost insolita, incredibile, delle piante asciutte. Vuol dire che quell’un avanzava sopra l’acqua senza premerla, sfiorandola con le piante.
82. Aer grasso: pieno delle esalazioni della palude. — 83. Nella Tebaide II 3, ritarda il passo di Mercurio, che scende all'Inferno, «il torbido aere»; se Dante si ricordò del verso di Stazio, vi aggiunse di suo la rappresentazione del modo come quell’uno allontanava l’aer grasso dal volto. — 84. Angoscia: qui vale molestia. — Lasso: affaticato, stanco.
85. Ben m'accorsi: cfr. V. 43. — Da ciel messo: per aver la perseveranza, che è continuar nel bene sino alla fine della vita, l’uomo costituito in grazia «ha bisogno del divino aiuto, che lo diriga e lo protegga contro le tentazioni». Somma t. I II 109-10, II II 188 4. Certo, un angelo in forma d'uomo, non essendo verisimile che il cielo mandasse a un’anima, fosse pure del Limbo, il comando di scendere in soccorso di Dante, al quale già Beatrice, discesa a bella posta dal cielo, aveva dato la guida di Virgilio, anima del Limbo. Che gli angeli possano assumere corpo umano, e muoversi e parlare, è dimostrato nella Somma, ed è generalmente ammesso dai Cristiani. — 86-87. Niente più naturale del volgersi di Dante in atto di muta interrogazione, e del doppio cenno, che il maestro gli fa. Cfr. Purg. I 50-51.
88. Disdegno contro disdegno, cfr. Inf. VIII 88 e la nota. — 89-90. Con una verghetta l’aperse: l’effetto grandissimo, e, per Dante, maraviglioso, confrontato con l’esiguità del mezzo adoperato, il tocco della verghetta, raggiunge quel, che chiamano il sublime. — Ritegno: impedimento. Laude Cortonesi XLI 154: «Magdalena si fo departita, Senza alcuno retegno».
91. Cacciati del ciel: cfr. Inf. VIII 83. — Dispetta: disprezzata o spregevole; cfr. Par. XI 65, 90. — 92. Non appena cominciato il discorso del messo del cielo, questa parentesi acuisce il desiderio di udire la continuazione. — Orribil: per ciò, a cui essa conduce. — 93. Oltracotanza: l'atto dell’ultra-cogitare, pensare con eccessiva audacia, presumere. — S'alletta: cfr. Inf. II 122. Di dove vi viene cotanta temerità?
94. Ricalcitrate: proprio del cavallo, che resiste allo sprone. Atti degli Apostoli IX 4, XXVI 14: «Dura cosa è per te ricalcitrare contro il pungolo». — Voglia: volontà. — 95. A cui non può esser impedito (di raggiungere) il suo fine. — Mai: bisogna pronunziarlo ben forte. — 96. Pit volte: una sarà ricordata dallo stesso messo del cielo; per un’altra, cfr. Inf IV 52 segg. — Cresciuta doglia: aggiungendo il dolore delle nuove sconfitte a quello della cacciata dal cielo.
97. Fata: voleri divini, immutabili alla latina; cfr. Purg. XXX 142. — Dar di cozzo: proprio delle bestie. — 98-99. Nell’En. VI 395, Caronte ricorda che Ercole «incatenò il custode dell'Inferno e lo trasse fuori e lontano tremante». Il poeta nostro fa che il messo del cielo ripresenti alla memoria dei demoni Cerbero col mento e il gozzo pelato; sostituisca alla causa (l’incatenare), l’effetto di essa ancora visibile. — Se ben vi ricorda: amaramente derisorio.
100-103. Cfr. Inf. III 51, benché la situazione sia diversa, e la n. al v. 80. — Non fe’ motto a noi: cfr. Nov. Ant. XXXII [Novellino, XXI 1]: «Et quelli non li facea motto». — L'altra cura del messo, cura che stringe e morde, non può essere che quella di tornare al cielo; cfr. Inf II 71. — 104. Terra: cfr. Inf. VIII 77. — 105. Appresso: dopo. — Sante: per sé, e per l’effetto loro.
106. Guerra: resistenza de’ demoni. — 108. Fortezza è il soggetto; condizion, quel, che la fortezza serra dentro, e come.
109. Cfr. Purg. XXVII 49. — Intorno invio: guardo avidamente, rapidamente. — 111. Il duolo è cagionato dal tormento.
112-115. Arli: Arles in Provenza, antichissima città, presso il luogo dove comincia il delta del Rodano; Pola all'estremità meridionale dell’Istria, presso il golfo del Carnaro, che bagna gli estremi termini orientali dell’Italia. — I sepolcri: quelli di Arles, di origine romana, furono, nel Medio Evo, attribuiti ai primi Cristiani, e si narrò che vi fossero sepolti i guerrieri morti a Roncisvalle combattendo i Saraceni (cfr. Inf. XXXI 16 segg.) e morti nella battaglia di Aliscans (dei Campi d’Arles), perduta da Guglielmo d'Orange (cfr. Par. XVIII 46); quelli di Pola si credevano fatti per gli abitanti «della Croazia, della Dalmazia e della Schiavonia». — Varo: vario, variato.
116. D'ogni parte: più su ha detto ad ogni man; insiste ripetendo in altra forma. — 117. Più amaro: è spiegato nei vv. seguenti.
118. Avelli: li chiamerà anche monimenti, arche, tombe. — Sparte: sparse, forma solita. — 119. Accesi: arroventati. — 120. Che nessun’arte (fabbrile) chiede sia il ferro, per lavorarlo, più rovente, di quel che erano gli avelli.
123. Ben parean: tanto erano duri, strazianti.
125-126. Seppellite, non sono visibili ma, dal fondo delle arche, giungono agli orecchi i loro sospir dolenti. — Dentro da: forma d'uso.
127. Qui: in questo cerchio. — Eresiarche: usato anche in prosa. Secondo San Tommaso, eresia vale scelta, che i Cristiani fanno, di opinioni non conformi alla fede di Cristo. Somma t. II II 11. — 128. Setta: «Come eresia da scegliere, cosf setta dicesi da seguire, e perciò eresia e setta sono la stessa cosa». Ivi. — 129. Molte le eresie, e numerosi i loro seguaci. — Carche: cariche, piene.
130. Simile con simile: ognuno con quelli della sua setta. Tav. Rit. XXVI: «Ogni simile con simile». — 131. Monimenti: monumenti; cfr. Conv. IV 22 [14]: «Andarono (le tre donne) per trovare il Salvatore al monimento». — Più o men: secondo la gravità dell’eresia. Così, nello Stige, alcuni irosi stanno sotto, nel limo, altri sopra. — 132. Alla man destra: sinora i due poeti sono andati sempre verso sinistra.
133. Martiri: le pene, invece di quelli, che le soffrono. - Spaldi: della città. Passano tra le mura e le tombe.

Date: 2022-01-10