"La dottrina sotto ‘l velame" (Inf. IX 61-63). Ermetismo ed Ermeneutica [Wilhelm Potters]

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Dati bibliografici

Autore: Wilhelm Pötters

Tratto da: Obscuritas. Retorica e poetica dell'oscuro

Editore: Editrice Università degli Studi di Trento, Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche, Trento

Anno: 2004

Pagine: 213-254

Lectura Dantis geometrica III

[Il seguente articolo deve molto ai suggerimenti critici di Sandra Ellena, Alessandra Favero, Valentina Iorio e Christiane Schneider. La parte tecnica del manoscritto, in particolare i disegni geometrici, è stata eseguita da Silvia Feser. A tutte loro desidero esprimere la mia profonda gratitudine.]

In numerose allusioni nascoste ed in dichiarazioni più o meno esplicite, Dante sostiene di aver racchiuso nella sua poesia «una veritade ascosa sotto bella menzogna». Fra questi riferimenti autopoetici, uno degli esempi più notevoli in tutta l’opera del poeta si trova nel IX canto dell'Inferno. Alla fine della scena in cui appaiono al pellegrino oltremondano tre furie con Medusa, e prima di assistere al misterioso avvento di un messo celeste che passa lo Stige a piedi asciutti, l’auctor Dante si separa improvvisamente dall’actor e si rivolge — nei versi 61-63 — ai propri lettori, per invitarli a cercare un messaggio celato sotto il senso letterale della sua parola poetica:

O voi ch’avete li ’ntelletti sani,
mirate la dottrina che s’asconde
sotto ‘l velame de li versi strani.
(Inf. IX 61-63).

Oltre ai passi in cui si parla delle famose figure profetiche della Commedia (il «veltro» e il «DXV»), pochi versi della poesia di Dante sono stati così intensamente dibattuti dalla critica come questa terzina. Ciò non deve meravigliare perché il dichiarato ermetismo e la funzione indubbiamente autoreferenziale fanno del passo qui citato un caso esemplare dell’obscuritas di Dante, un esempio lampante dell’intero «paradigma del velame». Considerando la loro posizione di rilievo, i versi in questione rappresentano, quindi, per qualsiasi metodo di esegesi, l’occasione per superare la ‘prova del fuoco’.
Per la vexata quaestio delle «dottrina» verrà qui proposta una soluzione, elaborata sulla base di una nuova strategia ermeneutica: un approccio ispirato dalla geometria. La metodologia di questa impresa interdisciplinare è stata spiegata e applicata in una recente serie di articoli:
- «Un cinquecento diece e cinque (Dante, Purg. XXXIII 43). Der Name des Boten Gottes als Problem der Wortbildung und der poetischen Kosmologie, in AA.VV., Latinitas et Romanitas. Festschrift fur Hans Dieter Bork, a cura di A. Bollee e J. Kramer, Hillen, Bonn 1997, pp. 351-706.
- «Il buon Gherardo» (Purg. XVI 115-145). LECTURA DANTIS GEOMETRICA, in AA.VV., Les Mots de la Tribu. Festschrift fur Gerhard Goebel, a cura di T. Amos, H. Bertram e M. C. Giaimo, Stauffenburg, Tubingen 2000, pp. 47-72.
- «Ella era uno nove» Rapporti geometrici fra la ‘Vita Nova” e la ‘Commedia’, «Letteratura italiana antica», 2 (2001), pp. 27-60.
- «lo son Manfredi» (Purg. III 112). Gematrie und Geometrie în der Gottlichen Komodie, in AA.VV., Begegnungen mit Dante. Untersuchungen und Interpretationen zum Werk Dantes ind seinen Lesern, a cura di P. G Hardt e N. Kiefer, Wallstein, Gòttingen 2001, pp. 101-28.
- «... la spera che più larga gira». Spazio della poesia e disegno del cosmo. LECTURA DANTIS GEOMETRICA II; «Letteratura italiana antica», 3 (2002), pp. 461-505.
- Beatrice or The Geometry of Love, in AA.VV., From Sign to Signing: Iconicity in Language and Literature, IMI, a cura di W. Miiller e O. Fischer, John Benjamins, Amsterdam e Philadelphia 2003, pp. 287-315.

Le considerazioni che seguono si articolano in tre punti:
1) l’obscuritas di Dante;
2) la «dottrina sotto ’l velame;
3) gli «intelletti sani» dei lettori.

1. L'obscuritas' di Dante: principî di una nuova lectura della ‘Commedia’

Nei saggi citati in precedenza, in particolare nei due studi pubblicati sulla rivista «Letteratura Italiana Antica», sono stati sviluppati i principî del nostro metodo d'analisi. I primi a hanno mostrato che con un approccio geometrico all’opera di Dante si possono decodificare, dagli stessi elementi ermetici della composizione poetica, gli strumenti di un'appropriate ermeneutica.
Più precisamente, sulla base di un’esegesi omogenea di alcuni dei tipici «enigmi danteschi», abbiamo avuto modo di definire le proposizioni fondamentali di una teoria scientifica del cosmo integrata da Dante nella semiosi del suo testo. Nei lavori sopra citati è stato esposto in modo dettagliato che, in analogia alla disposizione circolare dei tre regni dell’aldilà percorsi da Dante, il disegno complessivo dell'Universo, tracciato e spiegato dal poeta-filosofo nella sua cosmologia, è concepito come una sfera universale, ovvero come un macro-cerchio che si compone di ulteriori sistemi di figure circolari.
L'intero progetto dell’interpretazione geometrica della Commedia parte dall'analisi di alcuni segni numerici che riguardano il poema nel suo insieme e il personaggio che, accanto all’io del poeta, occupa una posizione centrale nell'opera: Beatrice. Questi valori numerici sono:
- la metafora che definisce la natura di Beatrice e i tempi dell'amore: 9;
- il numero delle cantiche, che è anche il segno astratto della divina Trinità, la ‘radice’ del ‘miracolo’ Beatrice: 3;
- il segno numerico del nome BEATRICE: 61, definibile secondo le regole della gematria medievale, alle quali Dante accenna velatamente nel cap. VI della Vita Nova;
- il nome del «messo di Dio» espresso, nella famosa profezia di Beatrice, con una sequenza di cifre, e caratterizzato dalla donna stessa come «enigma forte»: «un DXV» ossia «un 515»;
- il numero dei canti della Commedia: 100;
- il numero totale dei versi del poema: 14.233.
All’inizio della nostra LECTURA GEOMETRICA si trova l’analisi dei due valori che rappresentano i nomi di Beatrice (= 61) e del messo di Dio (= 515). Esaminando i possibili rapporti matematici dei due numeri, notiamo che, considerandoli come fattori di un prodotto, si giunge ad un risultato stupefacente: 31.415. Questo numero è un'eccellente approssimazione del valore 10.000π, che, in termini danteschi, corrisponde al «principio [...] per misurar lo cerchio» (Par. XXXIII 133-135) moltiplicato per la potenza quadrata del numero totale dei canti della Commedia: π x 100 - 100 = 31.415,926... Il risultato ci permette di definire, per mezzo dei due segni crittografici, l’area di un cerchio definito dal raggio r = 100. Sarebbe davvero poco sensato voler attribuire ai capricci del caso un’interdipendenza così sistematica dei numeri 61, 515 e 100. Appare invece più ragionevole rilevare nella figura definita da queste misure il disegno di un cerchio concepito da Dante come modello:

[...]

Dividendo per 100, possiamo identificare questo modello geometrico di Dante con la figura detta cerchio di raggio unitario o semplicemente cerchio unitario:

[...]

Riunendo in sé le idee dell’unità e della circolarità, il cerchio unitario rappresenta un eikon perfetto della Creazione divina, il modello per tutti i cerchi della produzione artistica, il campione di tutti i cerchi, i giri, i gironi, le spere, gli archi, le rote, ecc. presenti nei tre regni dell’aldilà ideati dal poeta.
Questo risultato ci conduce ad un'importante osservazione riguardante la teoria del segno poetico concepita da Dante. Il cerchio unitario definito dai valori poetici 61 = nome di Beatrice e 515 = designazione del messo di Dio può essere considerato come l’applicazione del principio semiotico presentato da Amore nel cap. XIII della Vita Nova: «Nomina sunt consequentia rerum».
Tramite l'assioma formulato da Amore, Dante richiama la teoria del segno di Platone che sosteneva che le due parti del segno linguistico sono unite tra loro per necessità naturale: physei. Per quanto riguarda il linguaggio in generale, è noto che Dante segue in realtà non Platone, bensì Aristotele con la sua posizione detta thesei; egli ammette, infatti, per l’unione semiotica di sonus e significatum, un legame determinato dal principio del (bene-)placitum, come lo definisce nel De vulgari eloquentia (I III 3). Queste idee saranno riprese e precisate da Adamo, portavoce di Dante linguista, che nel canto XXVI del Paradiso definisce, con le formulazioni poetiche «così o così […] secondo che v’abbella», il carattere essenzialmente storico del linguaggio umano e lo status convenzionale del segno linguistico.
Al contrario, la versione poetica del cerchio di raggio r = 1 dimostra che per Dante il segno, all’interno del linguaggio poetico, assume la qualità di segno motivato. Ciò significa che il segno poetico risulta essere un segno di ordine superiore nel quale, secondo Amore sulle orme di Platone, il rapporto fra significante e significato non è arbitrario, ma necessario. In questo senso il modello poetico del cerchio unitario si presenta come un'unità semiotica ideata a proposito, più precisamente un segno che ha la forma di un diagramma iconico, destinato a raffigurare in modo astratto il concetto base e la prima proposizione della teoria cosmologica propria del poeta.
Accanto alla sua rilevanza semiotica, il prodotto dei segni numerici 61 e 515 rinvia anche ad un importante aspetto storico di una figura circolare avente culturale. Dalla costruzione poetica raggio r = 100 e area A = 10.000π si può dedurre che Dante abbia utilizzato un procedimento aritmetico basato sull’idea del calcolo decimale. Nei suoi primordi, il metodo posizionale poteva realizzarsi con potenze di dieci quali denominatori di rispettive frazioni, ad esempio 31.415/10.000, invece di ricorrere all’utilizzo ancora ignoto di un determinato segno grafico, come ad esempio la virgola: 3,1415. In quanto strumento del calcolo decimale, essa rappresenta infatti una semplice convenzione, come si deduce già dal fatto che in parecchi Paesi, come ad esempio in Inghilterra, si utilizzi anche il punto con la stessa funzione. Comunque, la geometria medievale, cioè quella ufficiale ed accademica esposta nei trattati tecnici dell’epoca, non sembra ancora conoscere il nuovo metodo. Sebbene gli elementi del calcolo decimale — in particolare i numeri indo-arabi e lo zero — siano stati introdotti già da Fibonacci (Liber abbaci, 1202/1228; Practica geometriae, 1220), la geometria dei trattati continua a descrivere i propri cerchi sulla base del modello tradizionale. Ciò significa che la frazione 22/7 viene reputata valore assoluto del quoziente c/d = π nel cerchio. Pertanto si adottano il numeratore ed il denominatore della detta frazione come misure di un disegno concreto utilizzato come figura didattica: il cerchio avente r = 7 e c/2 = 22 o, in una variante, d = 7 e c = 220 Osserviamo dunque come il valore 22/7 = 3,142857..., corrispondente a π solo fino alla seconda cifra decimale, sia la chiave del calcolo del cerchio per quasi cinque secoli, dal 1000 al 1500:

esplicitamente un significato cosmologico, possiamo disegnare un altro cerchio, la figura definita dall'area A = 9 - 10.000π = 90.000 π, il cui raggio è r = 300:

[...]

Il rapporto fra matematica e poesia cifrato da Dante in questo disegno si può riassumere con la seguente formula:

90.000π ≈ 282.735 = 9 x 61 - 515 = Beatrice x BEATRICE x messo di Dio.

Mettendo la figura soprastante in relazione con il precedente modello, si ottiene, senza grandi calcoli, un sistema di nove cerchi definiti dai numeri poetici 9, 61, 515 e 100 e dalla serie dei numeri da 1 a 9:

A

A1 = 1 x (61 x 515) ≈ 10.000π
A2 = 2 x (61 x 515) ≈ 20.000π
A3 = 3 x (61 x 515) ≈ 30.000π
A4 = 4 x (61 x 515) ≈ 40.000π
A5 = 5 x (61 x 515) ≈ 50.000π
A6 = 6 x (61 x 515) ≈ 60.000π
A7 = 7 x (61 x 515) ≈ 70.000π
A8 = 8 x (61 x 515) ≈ 80.000π
A9 = 9 x (61 x 515) ≈ 90.000π

r = √A:π

r1 = √1 x 100 = 100
r2 = √2 x 100 ≈ 141,421
r3 = √3 x 100 ≈ 173,205
r4 = √4 x 100 = 200
r5 = √5 x 100 ≈ 223,607
r6 = √6 x 100 ≈ 244,949
r7 = √7 x 100 ≈ 264, 575
r8 = √8 x 100 ≈ 282, 843
r9 = √9 x 100 = 300

Dividendo i valori elencati in questa tabella rispettivamente per 1002 e per 100, siamo in grado di definire un sistema semplicissimo, basato su nove cerchi concentrici:

A = r2π

I 1π
II 2π
III 3π
IV 4π
V 5π
VI 6π
VII 7π
VIII 8π
IX 9π

r = √A:π

I √1 = 1
II √2 ≈ 1,41421
III √3 ≈ 1,73205
IV √4 = 2
V √5 ≈ 2,23607
VI √6 ≈ 2,44949
VII √7 ≈ 2,64575
VIII √8 ≈ 2,82843
IX √9 = 3

Questo insieme di figure circolari rappresenta il paradigma archetipico della visione tolemaica del mondo, che è, appunto, quella propugnata da Dante sia nelle sue opere poetiche sia in quelle filosofiche. Come si vede, il sistema dei nove cerchi concentrici è organizzato secondo una legge interna che dice: se le aree di due cerchi stanno fra loro come n : 1, i rispettivi raggi si calcolano con la radice di n, per esempio aree 9:1 ⟶ raggi 3:1.
Questo ordine astratto insito nel paradigma tolemaico richiama le due definizioni numeriche di Beatrice esposte nel cap. XXIX della Vita Nova:
Beatrice = 9 ⟶ «nove mobili cieli» del cosmo;
- Beatrice = 32 ⟶ 3 ⟶ «divina Tinitade» = ‘radice’ del ‘miracolo’ ossia di Beatrice.

Valutando con cura i singoli elementi che ci hanno condotto a ricostruire questa versione poetica del paradigma tolemaico del cosmo, giungiamo alla seguente conclusione: il personaggio poetico chiamato BEATRICE — la sua essenza numerica (= 9), il valore numerico del suo nome (= 61) e la qualità numerica della sua profezia (= 515) — fornisce gli strumenti necessari per formulare una lezione completa di cosmologia, una dottrina tanto semplice quanto elegante della concezione tolemaica dell’universo accolta da Dante.

Dato che, nel paradigma tolemaico, i valori dei raggi sono uguali alle radici dei numeri interi da 1 a 9, essi sono interpretabili come le ipotenuse e i cateti maggiori dei corrispondenti triangoli pitagorici, i cui cateti minori, sempre uguali, hanno valore 1:

[...]

Il sistema tolemaico, considerato in questa dimensione pitagorica, si trasforma in un disegno astratto che raffigura il triplice percorso dell'iter mentis di Dante sotto forma di una spirale.
Con i risultati delle prime ricerche eseguite applicando il nostro approccio geometrico, siamo in grado di definire un principio fondamentale della tecnica poetica con cui Dante ha cifrato, nella struttura metrica del poema, la propria teoria geometrica del cosmo: le strategie dell’ermetismo della poesia sono state ideate simultaneamente come chiavi di una possibile metodologia dell’ermeneutica. In altre parole, dato che i numeri centrali del discorso poetico si rivelano misure fondamentali dei disegni sviluppati nel discorso cosmologico, osserviamo che il sensus allegoricus scaturisce proprio dal sensus litteralis stesso, dal testo esplicito nella sua più pura litteralitas.
Per sottoporre la validità dell'approccio geometrico ad un rigoroso controllo, ho applicato, in un secondo momento, il metodo all’analisi del numero totale dei versi della Commedia, che sono in tutto 14.233. In concordanza con il principio della tripartizione adottato dal poeta in quasi tutte le strutture portanti del suo poema, si può dividere il numero totale dei versi per tre. Con tale operazione si dimostra che il numero 14.233 racchiude in sé un sistema di valori basato su un'ottima approssimazione del valore π8:

I: 1/3 x 14.233 = 4.744, 333… ≈ 4.744,265508… = 1/2 π8
II: 2/3 x 14.233 = 9.488, 666… ≈ 9.488,531016… = π8
III: 3/3 x 14.233 = 14.2333,000 ≈ 14.232, 79625… = 3/2 π8

I rapporti fra le equivalenze qui definite sono anche invertibili. Ciò significa che possiamo determinare un valore approssimato di π partendo dal numero totale dei versi della Commedia: 14.233. Invece di elevare un dato valore all’ottava potenza, estraiamo l'ottava radice della frazione (2/3 x 14.233) = 9488,667, ottenendo in questo modo la seguente approssimazione:

8√2/3 x 14.233) = 3,14159

Questo risultato è del tutto inedito per la geometria medievale.
I valori e i rispettivi disegni definibili con l’analisi geometrica del numero 14.233 ci consentono di ricostruire la relativa figura circolare, nella quale possiamo riconoscere il macro-cerchio della Commedia, le cui misure sono le seguenti:

[...]

Se la misura della circonferenza c si presenta come ripetuto riferimento iconico all'essenza numerica della donna, il valore dell’area A evoca nuovamente un paradigma completo della teoria tolemaica del cosmo. L'unità esterna del sistema concentrico sarebbe definibile - analogamente all’archimodello tolemaico presentato sopra — con il disegno planimetrico avente A = 9π.
Considerando ora che il viator non si muove sulla superficie di cerchi piani, bensì attraverso spazi tridimensionali, appare ragionevole utilizzare le date misure del macro-cerchio per calcolare la dimensione di una sfera corrispondente. In tale disegno stereometrico i limiti esterni costituirebbero i confini del cosmo, precisamente la «spera che più larga gira» di cui ha parlato già il «sospiro del cor dolente» nell'ultimo sonetto della Vita Nova. È noto che, per calcolare una sfera, la matematica parte dal rapporto tra sfera e cubo circoscritto, che è uguale alla frazione π /6 (o viceversa: 6/ π). L'approssimazione utilizzata dalla geometria medievale per questa chiave è la frazione 11/21 (il cui valore reciproco è 11/21):

[...]

Dal rapporto fra sfera e cubo risultano le seguenti formule per il calcolo stereometrico del volume e del diametro di una sfera:

[...]

VO = d3 x π/6 d = ∛V∎
= V∎ x π/6 = ∛V o x 6/ π

Le due formule evidenziano che la chiave stereometrica della sfera si presenta in due varianti:
- la frazione π /6, che indica la misura della sfera inscritta nel cubo dal volume V∎ = 1.
- il reciproco 6/ π, che rappresenta il cubo circoscritto della sfera avente volume VO = 1.
Partendo ora dal valore 14.233 ≈ 3/2 π8, e ricorrendo alla frazione n/6, è possibile calcolare la seguente sfera universale dell'intero corpus metrico del poema dantesco:

[...]

Analizziamo ora la dimensione della «spera che più larga gira», cioè la misura del suo volume:

Prima di tutto constatiamo che il numeratore della frazione è 9. Ciò ci permette di ricostruire — senza grandi calcoli — una nuova variante del paradigma tolemaico: una costruzione ormai in forma tridimensionale, un modello sferico del cosmo. In questo disegno le misure delle nove sfere concentriche sono, in ordine decrescente: 9/16π25, poi 8/16 π25, 7/16 π25, ecc. fino a 1/16 π25.
Considerando inoltre la composizione aritmetica della misura che definisce la sfera universale, vediamo che i numeri che circondano il «principio [...] per misurar lo cerchio», sono 9 — 16 — 25. Ai tre numeri razionali uniti al valore irrazionale r sono attribuibili due significati fondamentali. In primo luogo i valori in questione svolgono una funzione poetica costituendo la struttura cronologica della storia d'amore narrata nella Vita Nova:

1265 maggio: nascita di Dante
1266 gennaio: nascita di Beatrice

1274 maggio: primo incontro ⟶ età dei giovani: 9
durate dell’amore: 16
1290 8 giungo: morte di Beatrice ⟶ età degli amanti 25

In secondo luogo osserviamo che dai tre segni numerici 9, 16 e 25 emerge anche un significato fil sono uguali alle misure che costituiscono il modello base del famoso teorema di Pitagora, come si vede nella seguente figura:

[...]

Nel Convivio, il matematico di Crotone viene indicato da Dante come quel pensatore che per primo ha coniato il termine filosofia nel senso etimologico di 'amore per la sapienza':

Dico adunque che anticamente in Italia, quasi dal principio de la costituzione di Roma, che fu [sette]cento cinquanta anni [innanzi]. poco dal più al meno, che 'l Salvatore venisse, [...] vivea uno filosofo nobilissimo, che si chiamò Pittagora. [...] Questo Pittagora, domandato se egli si riputava sapiente, negò a sè questo vocabulo, e disse sè essere non sapiente, ma amatore di sapienza. E quinci nacque poi, ciascuno studioso in sapienza che fosse 'amatore di sapienza' chiamato, cioè 'filosofo'; chè tanto vale in greco 'philos' com'è a dire 'amore' in latino, e quindi dicerno noi: 'philos' quasi amore, e 'soph[os]' quasi sapient[te]. Per che vedere si può che questi due vocabuli fanno questo nome di 'filosofo', che tanto vale a dire quanto 'amatore di sapienza'.

Esaminando questo insieme di rapporti fra poesia e matematica, possiamo formulare una nuova conclusione: la forma complessiva del poema dantesco è stata ideata dall'autore come una costruzione sferica, una macrosfera che si può denominare, con i termini autopoetici di Dante, «spera che più larga gira». Le misure di questo modello del cosmo sono determinate - accanto ad un precisissimo π - dai numeri 9, 16 e 25, che ricordano i due amori di Dante:
- la passione del poeta per la gentilissima donna e
- l'eros scientifico del filosofo spinto dall'amore per la donna VERITAS.
Le due storie d'amore, esposte nel testo poetico e nel discorso 'filosofico' delle tre opere Vita Nova, Commedia e Convivio, e fuse nell'unità semiotica del poema sacro, si possono sintetizzare nel seguente schema:

[...]

A questo punto occorre riflettere nuovamente sul fatto che l'intera ricostruzione della macro-sfera si basi sul valore d = 3/2≈8 ≈ 14.233. Questa interpretazione matematica del numero totale dei versi della Commedia è derivata da una tripartizione esatta del corpus metrico. Considerando che il perno di questa operazione è il valore ≈8 = 9.488,531016 ... ≈ 2/3 · 14.233, conviene ora leggere i versi che circondano questo punto cruciale della struttura geometrica della poesia. versi m questione, la terzina Par. I 13-15, costituiscono il passo in cui il poeta chiede ad Apollo, dio delle arti e delle scienze, di ispirarlo con il suo «valor» divino, affinché egli si possa mettere all'opera per la terza ed ultima parte del suo lavoro, sforzo che dovrà portargli l’«amato alloro» della gloria:

9487 O buono Appello, a l'ultimo lavoro 9488
9488 fammi del tuo valor sì fatto vaso, 9489
9489 come dimand'a dar l'amato alloro 9490
(Par. I 13-15).

Non è sicuramente una coincidenza casuale il fatto che il 'valore' matematico π8 = 9.488,53 ... sia localizzabile esattamente nella posizione metrica che corrisponde al punto centrale del verso 9.488,00 - 9.488,99 ..., cioè a quel preciso segmento dell'endecasillabo in cui il poeta ha collocato la parola chiave «valor», intesa come designazione della forza ispiratrice del dio guida delle Muse. Interpretando ora, come nel caso del valore d = 14.233 ≈ 3/2 π8, la misura metrica 9.488,53 ... = π8 come diametro di una sfera, possiamo ricostruire nel punto dato la seguente figura geometrica:

[...]

Fra le misure di questo disegno sferico colpisce la circonferenza c = π9 definibile con lo stesso diametro d = π8:

[...]

Si vede che, grazie al suo esponente, il valore della circonferenza c = n9 richiama immediatamente il segno numerico della gentilissima donna, protagonista dell'intera invenzione poetica. Tuttavia, nel contesto dei versi sopra citati, si può arrivare anche ad un'interpretazione più precisa. Riferendosi al «valor» d = π8 = 9.488,53 ... che coincide con la posizione metrica del «valor» di Apollo, la circonferenza c = π9 evoca il fatto mitologico che il numero delle Muse guidate dal dio greco sia appunto 9. Constatiamo dunque nuovamente che, fra la 'materia' esposta a livello del testo esplicito e la 'forma' geometrica costruita a livello del senso allegorico del poema, esiste uno specifico rapporto semantico: una relazione di tipo iconico. Al di là dell'aspetto poetico è importante vedere che, per quanto riguarda la qualità matematica del re utilizzato da Dante nella collocazione stereometrica del «valor» di Apollo, la relativa tecnica della sua poiesis deve essere stata fondata su conoscenze scientifiche molto avanzate. Non sarebbero altrimenti spiegabili le stupefacenti concordanze poetico-matematiche concentrate nelle due sillabe intorno al punto centrale del segmento metrico formato dall'endecasillabo 9488 della Commedia.

2. «La dottrina sotto ‘l velame»: misura metrica - figura geometrica

Rileggiamo ora la terzina Inf. IX 61-63, attribuendo ad ogni verso il valore che definisce la sua posizione metrica:

1142 O voi ch'avete li 'ntelletti sani, 1143
1143 mirate la dottrina che s'asconde 1144
1144 sotto 'l velame de li versi strani. 1145

Eseguendo, per le tre posizioni, gli stessi calcoli stereometrici che abbiamo fatto per la sfera universale del poema, osserviamo che, passo dopo passo, ci stiamo avvicinando a un determinato disegno sferico localizzabile all'interno del segmento / sotto 'l velame de li versi stranii, cioè nella 'struttura profonda' della rispettiva posizione metrica 1.144,00 - 1.144,99 ... La figura a cui si fa riferimento presenta le seguenti misure:

[...]

Come si nota, le misure della figura tridimensionale ricostruibile nella posizione d = 1.144,71424 sono le seguenti:

[...]

Prima di determinare il particolare significato della figura e delle sue misure, conviene commentare un aspetto del nostro risultato che, pur essendo per noi ormai assai banale, sottolinea la dimensione cosmologica attribuibile alla «dottrina», Infatti, i valori che definiscono la figura qui sopra ricostruita permettono di concepire un'ulteriore versione della teoria tolemaica del mondo. In questa nuova variante del disegno geometrico del cosmo possiamo concepire il valore π / 4 come misura della sfera estrema di un sistema di 9 «cerchi» concentrici, derivando poi da questa unità maggiore le altre parti dell'insieme, in particolare la più piccola definita dalia misura π/(9 x 4) = π /36. È evidente che questa misura, con il valore 36 come denominatore della frazione, rinvia ad un fondamentale aspetto metodologico della geometria, rilevante anche per la geografia e l'astronomia: la divisione dei cerchio in 360 (= 10 x 36) gradi.
Oltre alla sua dimensione tolemaica, la figura stereometrica avente VO = π /4 possiede una serie di ulteriori significati che riguardano in particolare:
1) la sua rilevanza scientifica,
2) la sua esemplarietà didattica e
3) la sua posizione storica.
Per evidenziare queste tre funzioni, conviene concentrare la nostra attenzione sul volume della figura tridimensionale, precisamente su vari aspetti metodologici della frazione π /4. La domanda che s'impone è la seguente: in quale senso abbiamo il diritto di considerare il valore π /4 come grandezza cui allude il cifrato riferimento alla «dottrina che s'ascende sotto 'I velame de li versi strani»? Cosa ci autorizza ad interpretare il disegno determinato da questa frazione come una sorta di sintesi o quintessenza del sensus allegoricus dato da Dante alla sua poesia?
Per poter rispondere in modo adeguato a tale cruciale quesito, risulta necessario ricorrere alla matematica medievale. Analizzando i trattati tecnici redatti fra l'XI e la metà del XIV secolo, notiamo infatti che gli studiosi del tempo utilizzavano con particolare predilezione, accanto alla chiave tradizionale π ≈ 22/7, anche il valore π /4 ≈ 0,7854 (precisamente nell'approssimazione 11/14 ≈ 0,7857). Questa frazione si riferisce ad una figura geometrica fondamentale, importantissima per le scienze e le arti del Medioevo: il cerchio inscritto nel suo quadrato. Studiando i testi matematici del tempo, si osserva che tutta la matematica dell'epoca di Dante esprime il rapporto delle due figure con la «proportio 11 ad 14», come lo definì già Archimede. Le due figure e il loro rapporto si possono illustrare con questo grafico:

[...]

La frazione 11/14 è uno strumento aritmetico considerato dagli studiosi medievali come particolarmente facile da utilizzare. Riguardo a questa frazione, infatti, Fibonacci parla di «minimi numeri», cioè dei più piccoli numeri interi con cui si può costituire una chiave idonea ad eseguire i diversi calcoli del cerchio. Per convalidare queste osservazioni si possono allegare le relative descrizioni ciel cerchio rinvenibili nei trattati medievali, ad esempio.

- la Geometria incerti auctoris, sec. X, con cui inizia la ripresa della matematica in Occidente:

[...] in circulo, cuius dìametrurn sit pedum XXIV, embadum sic quaeras. Diametrum in se, fiunt CXCVI. Due undecies, fiunt IICLVI, sume partem decimam quartam, fit CLIV; et tot pedum erit embadum.

- l'Artis cuiuslibet consummatto, trattato redatto da un anonimo di Parigi verso il 1193:

Ducatur dyarneter in se. Productum multiplicatur [sic] per 11; summa dìvidatur per 14. Denominatio dabit aream circuli.

- la Pratike de geometrie che risale al 1276/77, e che è il primo documento geometrico in lingua volgare:

Se tu multeplies le dyametre par soi et tu mulreplies cele somme par 11 et tu devises cele somme par 14, la denominations fera I'aire de la circonference.

Come si vede, questi testi propongono per la misurazione dell'area di un cerchio un metodo che possiamo sintetizzare con la formula A = d2 x 11/14. Valutando con cura questi e altri documenti dell'epoca di Dante, possiamo partire dal presupposto che - per un intellettuale del Duecento e del Trecento - la frazione 11/14 rappresentava lo strumento generalmente utilizzato nel calcolo del cerchio, in un certo senso, dunque, la quintessenza del problema espressa in «minimi numeri» (Fibonacci). Annotiamo qui che il rapporto 11 : 14 forma la base su cui si fonda, in primo luogo, la teoria dell'invenzione del sonetto, esposta nel mio saggio Nascita del sonetto. A sostegno di ciò, infatti, nella frazione 11/14 i due numeri con i quali si definisce il metro della famosa forma lirica composta da 14 versi per 11 sillabe compaiono insieme. Constatando la concordanza perfetta fra la figura geometrica del sonetto e la figura ricostruibile come modello della «dottrina» dantesca, possiamo presumere che, con il disegno definito dal valore π/4 ≈ 11/14, Dante abbia anche voluto riferirsi intertestualmente a Giacomo da Lentini, ovvero all'inventore del sonetto in qualità di «sicilianus». È noto che Dante ritiene il poeta del primo sonetto fra i predecessori che hanno definito le regole della poesia.
Dobbiamo ora approfondire un aspetto centrale della questione, cioè quello che riguarda l'utilizzo particolare del valore π /4 = 11/14 da parte di Dante. Abbiamo visto che questa frazione esprime il rapporto cerchio : quadrato circoscritto, dunque la «proportio» di due figure planimetriche. Nel modello ricostruibile nella posizione della «dottrina», invece, il valore π/4 appare come elemento caratteristico della misura di una sfera, cioè di una figura tridimensionale. Questa osservazione è assai importante: l'utilizzo del valore π/4 come misura di una costruzione sferica mostra che Dante ha colto fino in fondo il carattere astratto del quoziente c : d o comunque, di qualsiasi altro approccio al problema del cerchio, come ad esempio quello definito dal rapporto fra cerchio e quadrato circoscritto. Dal seguente passo del Convivio si può desumere che il metodo con cui Dante abbia analizzato la quaestio matematica del valore detto più tardi «π», è caratterizzato da un concetto altamente scientifico della figura circolare:

[...] dico 'cerchio' largamente ogni ritondo, o corpo o superficie.

Questa citazione sottolinea che, nella sua ricerca del «principio [...] per misurar lo cerchio» (Par. XXXIII 133-135), Dante non aveva come punto di riferimento determinate figure circolari concrete, bensì l'idea della circolarità come tale, realizzata

[...]

Per quanto riguarda i dettagli del calcolo della sfera, osserviamo che, nella cosmimetria (o crassimetria, modernamente: stereometria) esposta nei trattati medievali, viene applicato costantemente un metodo che prescrive l'utilizzo della frazione 11/21 e del suo reciproco. A proposito possiamo riferirci ai relativi capitoli dei testi geometrici citati:

- Geometria incerti auctoris (ca. 1000):
Circulum incrassare si vis, diametrum ejus cubices, ipsam cubicationem ejus undecies ducas et ex ea summa vigesimam primam accipias et haec erit sphaerae crassitudo.

- Artis cuiuslihet consummatio (ca. 1193):
CIRCULI SPERICAM CRASSITUDINEM PERSCRUTARI. Nota erit circuli diametros per primum librum, cuius crassitudinern volumus. Illa cubicetur, habemus crassitudinem cubi, qui spericam lateribus contingit. Angulis et lineis ab angulo in angulum procedentibus excedit, quem excessum necesse est rescindere ut spere circuli quam querimus remaneat soliditas. Quod sic facies. Summam cubi divide per 21, denominationem ferias vel multiplices in 10; productum dabit excessum cubi ad speram circuli, scil. recisiones. Eandem multiplices in 11 et habes globositatem spere, quam queris [...].

- Pratilse de geometrie (ca. 1276/77):

Se tu veus trover la mesure del espere reonde, tu troveras le dyametre du cercle par le premier livre, delquel tu quiers la crasse mesure. Tu cuberas che dyametre en son quarré. Et si note bien ke li combes du quarré sorcroist le conterranee del combe reont, lekel reont il te convient soustraire. Se tu veus trover le contenance del combe reont, che feras tu en tel maniere: tu deviseras le combe del quarré par 21, et multeplieras cele devision par 10; la somme fera le sorcrois del combe quarré au combe reont. Derekief se tu multeplies cele misme devision par 11, la somme fera le contenance del combe reonr.

Sulla base dei testi citati e di altri documenti matematici del Medioevo, possiamo affermare che all'epoca di Dante gli autori dei trattati tecnici eseguivano la misurazione della sfera ricorrendo alle seguenti formule:

[...]

Lo studio delle sezioni che, nei documenti medievali, trattano il calcolo del cerchio e la misura della sfera dirige la nostra attenzione sul problema estetico della ricezione. Infatti, nel caso della cosmologia matematica celata da Dante nella struttura metrica del suo poema, si solleva la questione se i principi e i dettagli di un tale tipo di poiesis fossero realmente accessibili al pubblico colto del Trecento.

3. Gli «intelletti sani» dei lettori: ermetismo ed ermeneutica

Valutando il risultato della nostra interpretazione alla luce dei metodi descritti nei trattati della matematica medievale, conviene ora riflettere sulla seguente operazione: invece di ricorrere ai valori 'esatti' π/4 e 6/ π, combiniamo lo strumento della cosmimetria di quel tempo - cioè il valore 21/11 ≈ 6/ π - con la frazione 11/14, che, come abbiamo visto, fornisce una buona approssimazione per la chiave del cerchio π /4. Eseguendo i rispettivi calcoli, possiamo mettere a confronto due disegni quasi uguali: la ricostruzione 'esatta' della sfera localizzata nella posizione 1.144,71 e l'analoga costruzione stereometrica descritta secondo il metodo utilizzato nei trattati ciel tempo di Dante. Le due figure che risultano da questa operazione parallela sono le seguenti:

[...]

Osserviamo in primo luogo che i due disegni, accompagnati dai rispettivi calcoli, concordano nell'applicare - in perfetta simbiosi costruita parallelamente - le due chiavi scientifiche necessarie per indagare la circolarità piana e la circolarità sferica. In questo senso le figure gemelle rappresentano ciascuna un campione metodologico di tutta la problematica relativa al «principio […] per misurar lo cerchio». Esse forniscono una sorta di sintesi dell'intera «dottrina» necessaria per misurare le due varianti principali della figura circolare, il cerchio e la sfera, calcolabili con i due relativi strumenti aritmetici: π /4 e 6/ π, rispettivamente 11/14 e 21/11.
Esaminando ora con cura il corso della nostra operazione, notiamo che, nella misura del volume del cubo, il valore del π presente nelle due frazioni π /4 e 6/ π arriva a semplificarsi. Questo ci esime dalla necessità storicamente problematica di postulare nuovamente un 1t più avanzato di quello utilizzato dalla matematica medievale. Grazie alla semplificazione di π nelle due frazioni, la questione della qualità di π è, in questo particolare caso, irrilevante per il calcolo del diametro della sfera. Per questa ragione, l'applicazione degli strumenti della geometria medievale - le frazioni 11/14 e 21/11 - conduce nella presente operazione alla stessa determinazione del diametro della sfera come nel caso delle frazioni π /4 e 6/ π. Infatti, il risultato è sempre la terza radice della frazione 3/2 (moltiplicato con le rispettive potenze di 10), perché l'elemento caratteristico della misura del cubo circoscritto è sempre 3/2, calcolato sia con la formula 'esatta' π /4 x 6/ π = 6/4 = 3/2 sia secondo il metodo della matematica medievale 11/14 · 21/11 = 21/14 = 3/2.

Tutto ciò significa che il riferimento alla «dottrina» è stato collocato da Dante in una posizione metrica nella quale il messaggio ermetico fosse facilmente decifrabile dal pubblico intellettuale a lui contemporaneo, cioè perfino da quei lettori che conoscevano solamente le istruzioni scientifico-didattiche esposte nei trattati geometrici del tempo.

A questo proposito torna infine utile richiamare un fatto matematico di considerevole rilevanza storico-culturale, e cioè che il valore 11/14 ≈ π /4 rappresenta, nella figura paradigmatica del cerchio unitario, una determinata sezione dell'area denominata quadrante:

[...]

Il quadrante nel cerchio evoca il concetto astratto e la forma del più importante strumento utilizzato nelle scienze del Medioevo e nella vita pratica dell'epoca per misurare oggetti non direttamente accessibili, ad esempio l'altezza di una torre, la larghezza di un fiume, l'estensione di un campo, ecc. Questo strumento, la cui scala di misurazione ha la forma di un quadrato inscritto nella quarta parte di un cerchio, prende appunto il nome di quadrante:

[...]

Tutti questi richiami e rapporti spiegano perché Dante abbia potuto vedere nella figura stereometrica definita dai valori π /4 e π /6 (o 6/ π) un disegno che si presenta come sintesi perfetta della «dottrina» esposta nella Commedia «sotto 'l velame de li versi strani»: una teoria matematica del cosmo concepita come ricerca del «principio […] per misurar lo cerchio». Il risultato dell'analisi qui presentata ci permette infine di riconoscere il motivo per cui Dante abbia collocato la sorprendente apostrofe ai suoi lettori ed il riferimento ermetico alla «dottrina» proprio nei versi Inf, IX 61-63. La ragione di questa scelta risiede nelle precise condizioni matematiche dell'edificio cosmologico sotteso al corpus formale del poema, più precisamente nelle posizioni metriche 1.142 1.144. Come abbiamo visto, in questo segmento del testo è ricostruibile la figura stereometrica che riunisce in sé
- i due strumenti paradigmatici utilizzati dalla geometria medievale nella misurazione dei due tipi principali del «ritondo», cioè cerchio (11/14 ≈ π /4) e sfera (11/21 ≈ π /6);
- la figura esterna di una nuova versione del sistema tolemaico, la quale si definisce con una «spera che più larga gira» avente Vo = π /4, da cui si derivano poi, senza grandi calcoli, le altre unità del relativo modello cosmologico, in particolare la sfera minore avente Vo = π/(9 x 4) = π /36.
Accanto a queste due definizioni matematico-poetiche, il significato attribuibile al valore π /4 può essere analizzato con ulteriori argomenti. Questo approfondimento della nostra interpretazione parte dal predicato che, nel testo dei versi Inf. IX 61-63, si riferisce alla «dottrina» quale oggetto dell'osservazione e al lettore quale soggetto della proposizione: «O voi..., mirate la dottrina che...!» Il significato del verbo mirare implica un fatto pragmatico tanto importante quanto evidente: la presenza degli occhi del lettore quali strumenti dell'azione verbale. Dato che l'organo umano della visione si compone sempre di due occhi, l'oggetto nascosto al quale essi debbono rivolgersi, cioè la frazione π/4 quale elemento centrale della «dottrina», si può dividere in due parti uguali. Tali due elementi dell'insieme possono essere ad esempio i due fattori che risultano dalla radice del valore π/4. Con questa operazione arriviamo alla seguente formula:

π/4 = √π/2 x √π/2

La radice della frazione π/4 rappresenta una chiave di primaria importanza matematica e storico-culturale. Infatti, la relazione fra il numeratore ed il denominatore (o viceversa) rinvia al rapporto esistente fra il diametro d del cerchio unitario ed il lato a del quadrato di area uguale:

[...]

La combinazione delle due figure rappresenta l’approssimazione alla «soluzione» di una delle più famose quaestiones della matematica, la quadratura del cerchio:

[...]

Questo disegno si presenta come un diagramma iconico che, combinando le due figure geometriche del cerchio e del quadrato di area A = π, riassume il senso allegorico della «dottrina» della quale parlano i versi autopoetici Inf. IX 61-63. Il messaggio nascosto si riferisce essenzialmente alla ricerca della «radice» del «principio [...] per misurar lo cerchio», nella forma in cui questo è stato utilizzato preferibilmente dalla geometria medievale, cioè la frazione 11/14 = π /4.
Riepiloghiamo: gli occhi del lettore della Commedia, esortato dal poeta a mirare la «dottrina che s’asconde sotto ’l velame de li versi strani», riescono a riconoscere la soluzione dell’enigma nel momento in cui essi
1) identificano il valore π /4 come elemento caratteristico di una costruzione stereometrica realizzata nella terzina autoreferenziale Inf. IX 61-63 in concordanza con l’architettura geometrica dell'intero poema;
2) analizzano la frazione π /4 come potenza della sua radice, scoprendo in questo modo la chiave paradigmatica con cui si può determinare il quadrato uguale a qualunque cerchio.

Le parole seguenti, citate dal trattato filosofico di Dante (Convivio II XIII 26-27), dimostrano chiaramente che il poeta si è occupato davvero più che superficialmente del problema del cerchio e della sua quadratura:

La Geometria si muove intra due repugnanti a essa, sì come ‘l punto e lo cerchio — e dico ‘cerchio’ largamente ogni ritondo, o corpo o superficie —; ché, sì come dice Euclide, lo punto è principio di quella; e secondo che dice, lo cerchio è perfettissima figura in quella, che conviene però avere ragione di fine. Sì che tra ’l punto e lo cerchio sì come tra principio e fine si muove la Geometria, e questi due a la sua certezza repugnano: ché lo punto per la sua indivisibilitade è immensurabile, e lo cerchio per lo suo arco è impossibile a quadrare perfettamente, e però è impossibile a misurare a punto [...]. (Convivio II XIII 26-27)

4. Conclusione

Sulla base di alcuni saggi precedenti, nei quali è stato sviluppato l'approccio di una LECTURA GEOMETRICA della poesia di Dante, abbiamo voluto mettere alla prova il nostro metodo applicandolo, nel presente lavoro, all'analisi di una crux particolarmente spinosa della critica: la terzina Inf. IX 61-63. Infatti, questo passo della Commedia contiene, presentato sotto forma di apostrofe rivolta ai lettori e ai loro «intelletti sani», uno dei più cospicui esempi dell’obscuritas di Dante e del carattere autoreferenziale dei suoi enigmi.
Analizzando dunque i versi Inf. IX 61-63 in chiave matematico-cosmologica, siamo pervenuti ad un risultato plausibile sia in senso descrittivo sia in senso storico. Nella precisa posizione metrica del verso che parla della «dottrina» nascosta «sotto ’l velame de li versi strani», si può ricostruire un modello geometrico definito da quelle frazioni che, nella matematica medievale, rappresentano gli strumenti paradigmatici del calcolo del cerchio (π /4 ≈ 11/14) e della stereometria della sfera (π /6 ≈ 11/21). Il significato scientifico e la portata storico-culturale di queste frazioni risiedono nel fatto che i due valori forniscono insieme una sintesi perfetta della teoria tolemaica del cosmo adottata da Dante. Nella figura sferica determinata dalle misure Vo = π /4 e V∎ = π /4 x 6/ π = 3/2, la «dottrina» si presenta simultaneamente come oggetto e come strumento della propria decifrazione. Essendo organizzate con elementi identici, l’ermetica e l'ermeneutica del testo coincidono grazie alla loro congruenza assoluta: esse non sono altro che le due facce della stessa medaglia.
In questo modo il genio di Dante produce un'opera in cui poesia e riflessione metapoetica diventano il significante ed il significato di un macro-segno unico.
Per precisare questo risultato, riassumiamo qui i nostri diversi saggi tentando di combinare le conclusioni fondamentali in una figura sintetica. Infatti, la sfera ricostruita nella posizione metrica della «dottrina» e le due figure rappresentanti la «spera che più larga gira» e il «valor» di Apollo stanno in un rapporto sistematico che si può illustrare col seguente schema:

[...]

Il disegno complessivo, che raffigura i volumi e le posizioni metriche delle tre sfere descritte in precedenza, ci suggerisce di ridefinire con maggiore precisione il nostro metodo d’interpretazione. Notiamo che, nei tre casi trattati, Dante utilizza sempre la stessa figura geometrica, variata soltanto nella sua dimensione. Da questa osservazione si può concludere che la costruzione sferica con cui Dante espone la sua «dottrina» del cosmo è immaginabile come un unico grande modello stereometrico, una sfera in espansione ossia un kosmos in fieri:

[...]

Nascendo nel primo verso e crescendo, con ogni posizione metrica, fino alla sfera più larga identificabile alla fine dell’ultimo verso, questa figura sferica è un modello di cosmogonia che raffigura la genesi e la formazione dell’universo. I risultati delle ricostruzioni presentate nei nostri primi lavori trovano conferma nel fatto che, per le singole posizioni del processo di espansione, si stabiliscano rapporti di corrispondenza semiotica fra i due livelli del testo. La ‘materia’ esposta nei versi e la ‘forma’ stereometrica definibile con le misure raggiunte dalla sfera nei relativi punti metrici si evocano vicendevolmente grazie alla loro relazione iconica.
È chiaro che, nel proseguimento della nostra impresa, ci aspetterà un lavoro di ampia portata: in tutta la scala delle 14.233 posizioni metriche della Commedia, in particolare nei numerosi passi oscuri del testo, dovremo determinare le misure raggiunte dalla sfera in espansione nei rispettivi punti, per esaminare poi in ogni punto interessante se, sulla stregua dei modelli geometrici presentati in questo saggio, si possano accertare ulteriori applicazioni della «dottrina» del cosmo celata «sotto ’l velame de li versi strani».
La conclusione generale che possiamo trarre dall’analisi della terzina Inf. IX 61-63 è identica a quella già provvisoriamente formulata alla fine dei nostri primi saggi: la cosmologia matematica sottesa alla poesia di Dante è scienza di base nella forma più pura. Nella teoria dantesca del cosmo, il tema esposto nel testo del poema — il viaggio attraverso i regni oltremondani — si presenta, a livello del senso allegorico, come l’oggetto della più astratta riflessione scientifica. In un movimento di fortissima autoreferenzialità, la scienza del ‘filosofo’ è volta all’analisi delle condizioni basilari e delle figure prototipiche dell'universo identificato dal poeta con il mondo della sua fictio. Questi modelli sono: il cerchio, la sfera e il sistema concentrico costituito da nove figure circolari, ossia quei disegni geometrici che, secondo la visione del poeta cristiano discepolo di Tolomeo, illustrano l’idea, il processo e l’ordine interno della Creazione.
Riassumendo, le figure e i calcoli presentati in questo lavoro mostrano che l’autore della Commedia abbia trasformato lo spazio definito dalla metrica del suo poema in un disegno geometrico del cosmo. Il messaggio matematico costituisce il sensus allegoricus della poesia, sviluppato come trasposizione iconica di ciò che è narrato a livello del sensus litteralis. Da questo tipo di semiosi risulta la fusione di poesia e filosofia nell'unità estetica del testo. Tuttavia, per rendere il carattere autenticamente scientifico della «dottrina» celata nel «poema sacro», Dante ritiene importante accennare alla natura «ineffabile» (modernamente: irrazionale) del m mettendo in risalto, alla fine della sua opera, che la scienza del «geomètra» non sarà mai in grado di arrivare ad una soluzione definitiva del problema del cerchio:

Qual è ’l geometra che tutto s'affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond'elli indige
(Par. XXXIII 133-135).

Date: 2022-01-20