Medusa [Lorenzo Filomusi Guelfi]

Dati bibliografici

Autore: Lorenzo Filomusi Guelfi

Tratto da: Giornale Dantesco

Numero: XVIII

Anno: 1910

Pagine: 122-124

Che cosa simboleggia Medusa, invocata dalle Furie, per vengiare l’assalto di Dante? «L’allegoria della Medusa dantesca», scrive lo Scartazzini, «va annoverata tra le più difficili della Divina Commedia; ed è essenzialmente uno di quei nodi che aspettano ancor sempre il loro Edipo». Infatti, le interpetrazioni che se ne son date finora, non sono in minor numero di quelle proposte per le Furie; e, come per le Furie, nessuna può dirsi sodisfacente: la coscienza del peccato, l’appetito di esso, la dimenticanza, la vista caliginosa, l’ostinazione; l’adornezza e la bellezza, che rendono gli uomini ciechi, mutoli e dissennati; il terrore, l’ignoranza o la bestialità, i beni mondani; la potestà e la forza, che signoreggia la ragione; l’eresia, il dubbio ecc.; tutti questi simboli sono capricciose e arbitrarie escogitazioni di commentatori, delle quali, per tacer d’altro, nessuna scaturisce logicamente dalla situazione in cui e per cui Medusa è invocata. Un più attento esame esige l’interpetrazione del. P. Berthier: il dotto teologo intuisce il vero simbolo di Medusa; ma lo sciupa, tentando di metterlo d’accordo con tutti gli altri simboli attribuiti a Medusa dagl’interpetri, e servendosi, per dimostrarlo, di ben disadatti argomenti. Incomincia col dire: «ricordiamoci che siamo nell’ Inferno delle bestialità, ossia dei peccati commessi contro la natura»; ed è la prima inesattezza; poiché siamo nel sesto cerchio; e l’eresia non è né peccato di bestialità, né peccato contro natura: non è peccato di bestialità, ché bestialità è assenza di ragione, eresia è abuso di ragione; non è peccato contro natura, ché, per tacer d’altro, i peccati contro natura son puniti nel settimo cerchio, non nel sesto. Continuando, il P. Berthier attribuisce alle Furie il simbolo delle «tre forme e cagioni delle bestialità», che, secondo l’Etica d’Aristotile, sono la consuetudine con gente che non usa di leggi razionali, cioè i barbari; le malattie e le morti de’ proprii cari; l’eccesso di malizia; le quali tre «cagioni delle bestialità» sarebbero così simboleggiate: in Aletto «che piange», la seconda; in Megera, la terza; e, per esclusione, in Tesifone la prima. Ora, è chiaro che nessuno speciale attributo di Megera induce a riconoscere in lei, a preferenza che nelle due sue compagne, l’eccesso di malizia; e che il piangere d’Aletto non è tale indizio, da potere, per esso, attribuirle il simbolo del dolore per la perdita de’ proprii cari: non è dunque il caso d’attribuire a Tesifone, neppure per esclusione, il simbolo della consuetudine coi barbari. Ma andiamo avanti. Medusa, dunque, conclude il P. Berthier, «non può rappresentare propriamente che il risultamento di queste passioni violente, il quale sarà l’accecamento e l’indurazione». Lasciamo stare che il conversar coi barbari, il piangere la perdita de’ proprii cari e in ispecial modo l’eccesso di malizia non sono passioni; ma «excaecatio et obduratio duo important; quorum unum est motus animi humani inhaerentis malo»... «aliud autem est subtractio gratiae, ex qua sequitur quod mens divinitus non illuminetur ad recte videndum et cor hominis non emolliatur ad recte vivendum»; la causa poi della sottrazione della grazia è «non solum ille qui opponit obstaculum gratiae, sed etiam Deus, qui suo judicio gratiam non apponit». In quale di questi due sensi abbia a intendersi l’obduratio simboleggiata in Medusa, nel senso di «motus animi humani inhaerentis malo», o in quello di «subtractio gratiae», il P. Berthier non ce lo dice: ad ogni modo, nell’un caso e nell'altro, la dottrina del P. Berthier non s'accorda con quella di San Tommaso: per non parlare delle prime due cause che, con Aristotile, il P. Berthier assegna all’excaecatio e all’obduratio; la terza, cioè l’eccesso di malizia, non è, per san Tommaso, che tutt'uno con l’excaecatio e con l’obduratio stesse, prese nel senso di «motus animi humani inhaerentis malo»; prendendo poi l’excaecatio e l’obduratio nel secondo senso, di «subtractio gratiae»; l’eccesso di malizia, in quanto oppone ostacolo alla grazia, è luna delle due cause, l’altra è Dio: a che tirare in campo altre cause dell’indurazione? Insomma, troppe difficoltà presenta l’argomentazione del P. Berthier: aggiungi che completa la confusione il tentativo di conciliare il simbolo dell’obduratio con tutti gli altri simboli attribuiti dagli altri interpetri alle Furie; e apparirà ben chiaro che neppure il P. Berthier, quantunque messosi sulla buona via, ha risoluta la quistione della Medusa dantesca.
Ed ora, ecco come si dimostra che Medusa simboleggia veramente l’obduratio, nel senso di subtractio gratiae; e più precisamente, dell’una delle due cause di essa, ille qui opponit obstaculum gratiae; ché l’altra causa, ho già detto, con san Tommaso, che è Dio, che «cujus vult miseretur, et quem vult indurat».
Dante moveva all’assalto dei regni infernali, armato d’un’arma potentissima, la grazia: solo per la grazia egli faceva quel viaggio; e tanto essa traluceva in lui, che, nell’Empireo, san Bernardo lo chiamerà, addirittura, figliuolo della grazia. Or che cosa si fa, innanzi tutto, quando alcuno ci assalti, se non cercare di disarmarlo? Il miglior mezzo, adunque, di difendersi dall’assalto di Dante e, insieme, di vengiarlo, era, per le Furie, render Dante incapace a proseguire il viaggio, facendo sì ch’ei perdesse la grazia. E poiché «omne peccatum mortale contrariatur gratiae et excludit eam»; inducendo Dante a peccare, esse avrebbero raggiunto l'intento. Ma si dice che il demonio acceca — e quindi, anche che indurisce; ché accecamento e indurimento non sono che due effetti simultanei della stessa causa, la malizia —, si dice che il demonio acceca, in quanto induce a peccare; dunque l’indurimento è il diventar di smalto, minacciato dalle Furie, con l’invocazione di Medusa; l’indurimento è il simbolo nascosto nella Medusa dantesca. Col quale ben si spiega l’avvertimento di Virgilio a Dante; che, se avesse vista la Gorgona, sarebbe rimasto all'Inferno: perché l’accecamento — e quindi, anche qui, l’indurimento — «ex sui natura ordinatur ad damnationem ejus qui excaecatur»; onde porta, d’ordinario, all'Inferno. E si spiega pure come Virgilio potesse prender sul serio la minaccia delle Furie, tanto da chiudere egli stesso, con le proprie mani, gli occhi di Dante: ho già detto che il demonio acceca, in quanto induce a peccare; or demonii eran per Dante le Furie, non meno che tutti gli altri enti mitologici. Infine, per l’espediente escogitato da Virgilio, si ricordi quel dei Proverbi: «Ne intuearis vinum quando flavescit, cum splenduerit in vitro color ejus: ingreditur blande, sed in novissimo mordebit, ut coluber, et sicut regulus venena diffundet»: or qui il vino simboleggia le passioni; e Medusa altro non è, se non un’emanazione delle passioni; delle Furie, cioè, che son simbolo delle passioni, ridotte, secondo la classificazione di san Giovanni, alla concupiscenza della carne, alla concupiscenza degli occhi e alla superbia della vita.

Date: 2022-01-09