Sotto il velame de li versi strani [Giovanni Caso]

Dati bibliografici

Autore: Giovanni Caso

Tratto da: Verso il futuro

Anno: 1979

Pagine: 8-13

L'imperscrutabilità di certe immagini allegoriche, di certi simboli, di certi passaggi oscuri che la genialità del Vate ha scavato nel substrato del suo poema, nonostante le tante interpretazioni di studiosi e commentatori, ancora oggi permane nell'opera dantesca, ancora oggi non tutti i pezzi hanno trovato giusta collocazione nel mosaico multicolore e affascinante della Divina Commedia.
Questa, è, appunto, una divagazione sui significati più sorprendenti dell'opera di Dante; è la storia del vecchio Edipo sul cui calco si modella l'ansia dell'uomo di oggi proteso alla ricerca della verità.
Non si può, in una siffatta disamina, non iniziare da quelli che lo stesso Dante definì "enigmi forti": la profezia del Veltro, il Cinquecento Dieci Cinque (DXV) e il Novenne, coi quali il poeta annunzia al mondo l'Avvento di un nuovo Messia capace di ricacciare la lupa nelle viscere dell'inferno.
In un volume dal titolo "Dante tra gli splendori dei suoi enigmi risolti", edito con scarsa fortuna nel 1919 e successivamente nel 1952, il prof. Benini affronta i tre enigmi sostenendo che essi non si riferiscono a tre diversi personaggi, ma allo stesso Alighieri, non certo materia ma virtù e trasfigurazione.
Per comodità di consultazione, si trascrivono i passi in esame:

Inferno I, 100-105

Molti son gli animali cui si ammoglia [La Lupa]
e più saran ancora, infin che il Veltro
verrà che le farà morir con doglia.
Questi non ciberà terra né peltro
ma sapienza ed amore e virtude
e sua nazion sarà tra feltro e feltro.

Purgatorio XXXIII, 40-45

Ch'io veggio certamente, e perciò il narro,
a darne tempo già stelle propinque
sicure d'ogni intoppo e d'ogni sbarro,
Nel quale un Cinquecento Dieci Cinque [DXV]
messo di Dio anciderà la lupa
e quel gigante che con lei delinque.

Paradiso XVII, 76-81

Con lui vedrai colui che impresso fue,
nascendo sì da questa stella forte [Marte]
che notabili fien l'opere sue.
Non se ne son le genti ancora accorte
per la novella età che pur nove anni [Novenne]
son queste ruote intorno di lui torte.

L'indagine dell'autore si sviluppa in due sensi:

- il primo ha valore di analisi strutturale; muovendo dalla certezza delle "rime a distanza", di cui lo stesso Dante dà notizia nel Convivio, il Benini spiega come gli avvenimenti e i personaggi, che godono di certa affinità, si susseguono secondo un ordine logico, regolato dalla mistica di due numeri: il 666 dell'Apocalisse e il 515 (DXV). Nel caso in esame ciò che sorprende è la perfetta simmetria dei tre enigmi nell'ambito delle cantiche: infatti, la profezia del Veltro, è posta ai versi 101-102 dall'inizio dell'Inferno; il DXV si trova 101-102 versi prima della fine del Purgatorio; la figura del Novenne spicca al centro del Paradiso, in modo che 2371 versi la precedono e 2372 la seguono;

- il secondo senso, in cui si snoda la ricerca beniniana, riguarda i contenuti; i riferimenti alla persona dell'Alighieri sono evidenti: tra Feltro e Feltro (è la terra d'origine della famiglia degli Alighieri); la "stella forte" del Paradiso è Marte, sotto il cui influsso nacque Dante (secondo il computo del calendario astronomico del tempo, all'epoca del viaggio attraverso i tre regni erano trascorsi esattamente nove anni di Marte). Ciò che stupisce è la supposizione che nel Cinquecento Dieci Cinque siano celate proprio le sue iniziali: Dante Xristi Vindex, Dante Vendicatore di Cristo, supposizione maggiormente avvalorata dalla scritta DXV apparsa in cielo, nel giorno di Pasqua, allorché Dante giunse in Paradiso. Le bianche stelle che tracciano le lettere nel cielo sembrano quasi voler tributare al poeta un trionfo divino. È lui il Messo, dunque, è colui che ricaccerà nell'Inferno la Lupa della cui uscita si era resa responsabile l'inetta Chiesa.
Anche il Picci ne "I luoghi più oscuri e controversi della Divina Commedia" (editi nel 1843) spiega i tre enigmi forti.
Nei suoi commentari, però, riveste maggiore importanza la ricerca dei "musaici" danteschi, una sorta di crittografie ingente, di acrostici dubbi, di anagrammi per lo più difettosi.
A titolo di curiosità si citano:

su la fiumana onde il mar non ha vanto (Inf. II, 108)

C’é chi riconosce nella fiumana l'Acheronte; altri, un fiume che scorre intorno alla selva oscura. Il riferimento all'Arno del Picci sembra alquanto attendibile.

per le fessure de la pietra piatti (Inf. XIX, 75)

Qui il Picci ha voluto leggere a tutti i costi la parola PAPI, simoniaci, conficcati nelle fenditure del suolo con le piante dei piedi fiammeggianti.

si’ scoppia io sottesso grave carco,
fuori sgorgando lagrime e sospiri,
e la voce allentò per lo suo varco.

Il Picci qui ravvisa la figura di ARRIGO, nelle cui mani Dante aveva deposto le sorti dell’Italia, tramutato però in ARRIGO perché "la voce allento".
Non manca, poi, un anagramma quasi perfetto se non fosse per due piccole mende (una tramutata in I e la ripetizione dell’IN in entrambe le letture):

In exitu Israel de Aegypto (Purg. II, 46)
In exilijo e patria tu deges

Non sembri strano che Dante abbia fatto così largo uso di enigmi. Il ricorso ad allegorie e simboli, ad acrostici ed anagrammi era proprio nello spirito degli intellettuali medioevali, forse perché influenzati dalla cultura di una Chiesa turbata da esasperato misticismo. Illuminante è lo stesso pensiero di Dante in merito alla concezione dell'allegoria nella Divina Commedia: "A chiarimento dunque delle cose da dire è da sapere che il senso di questa opera non è semplice e che anzi esso può essere detto polisemia, cioè avente più sensi: infatti prima è il senso che si ha con la lettura, altro è il senso che si ricava dalle cose manifestate dalla lettura. E il primo si dice letterale, il secondo è invece allegorico o morale o anagogico" (lettera a Cangrande).
Ancora: "O veritade ascosa sotto bella menzogna" (Convivio II, 1). Questo sistema di comporre, quindi, non era solo seguito dalla maggior parte degli intellettuali dell'epoca, ma poteva non a torto essere considerato l'unico possibile alla luce delle implicazioni morali e problematiche di quel particolare periodo.
Emblematica è la quartina che Dante indirizza con irriverenza alla volta di chi aveva osato paragonarlo alla lettera:

O tu che sprezzi la nona figura,
e sei da men che la sua antecedente,
va e raddoppia la sua susseguente;
per altro non ti ha fatto la natura.

La quartina riportata dal Crescimbeni nei suoi "Commentari della Volgar Poesia” segnala il vigore dell'invettiva, se si considera il tono violento e canzonatorio.
Benvenuto Cellini nella "Vita" narra che una volta, con sua somma meraviglia, durante un'udienza di assise, sentì un giudice parigino esclamare:

faix paix, Satan, paix paix, Satan, allez, paix

quasi imitando l'orribile verso dell'indemoniato Pluto. Un modo simpatico per chiarire finalmente il mistero.

Date: 2021-12-26