L’introduzione allegorica [Rocco Montano]

Dati bibliografici

Autore: Rocco Montano

Tratto da: Dante filosogo e poeta

Editore: Salerno, Roma

Anno: 2016

Pagine: 175-179

Bisogna avvertire, tuttavia, che i primi due canti del Poema o almeno il primo canto che fa da introduzione, sono impostati su un procedimento allegorico e narrativo notevolmente diversi. La Divina Commedia è composta di 100 canti: 33 sono dedicati a ciascuna delle tre cantiche, Inferno, Purgatorio, Paradiso. Il primo canto fa da introduzione a tutto il Poema, è il pronao della grande cattedrale a tre navate. In esso Dante non ha narrato del proprio viaggio nell'aldilà, ma ha detto le circostanze e il tempo, le ragioni della propria straordinaria avventura. È questo un racconto sommario, fatto nella forma allegorica consueta alla letteratura del tempo.
Il Poeta dice che all'età di trentacinque anni, e cioè nel mezzo della vita (la vita egli riteneva che avesse la durata media di 70 anni), si era trovato in una selva, «amara che poco è più morte» (Inf., I 7). Non può dire da quanto tempo o come egli fosse caduto così in basso. Riscossosi, aveva tentato di salire un colle illuminato dal sole, ma l'ascesa gli era stata impedita da tre fiere: un leone, una lonza, una lupa. Quest'ultima specialmente lo aveva risospinto in basso. Egli aveva allora visto una figura che gli si era poi rivelata per quella di Virgilio, e a questa egli si era rivolto per aiuto.
La lupa - Virgilio gli aveva spiegato (Inf., I 78) - non lasciava salire nessuno sul colle

ch'è principio e cagion di tutta gioia.

Per salvarsi era necessario che Dante percorresse i regni dell'aldilà, ed egli, Virgilio, era venuto per guidarlo. Dante aveva accondisceso all'impresa, ma dubbi erano sopravvenuti; come mai lui, un qualsiasi mortale, poteva essere ammesso a una impresa che solo Enea e s. Paolo avevano potuto compiere, l'uno per dare inizio alla storia di Roma, l'altro per assicurare il trionfo di Cristo? Ma Virgilio lo aveva ammonito e rassicurato. Egli veniva a lui, mandato da Beatrice, la quale a sua volta era stata sollecitata da s. Lucia e dalla Madonna a soccorrere il suo amato. Così dunque era per un alto disegno di Dio che egli, Virgilio, era venuto.
Beatrice non aveva potuto dire altro al poeta latino, che era nel Limbo «fra color che son sospesi» (Inf, II 52). Né Virgilio poteva sapere della missione che a Dante era riservata. Così non si parla ora di essa. Il poeta semplicemente riassume in questi due canti, in forma allegorica, la vicenda della propria vita anteriore al miracolo. La selva di cui si parla è non una selva reale, come è reale l'Inferno; ma è solo l'immagine tradizionale dell'errore e del peccato. Dicendo che essa è amara quasi quanto la morte, il Poeta ha suggerito che si tratta non di una selva reale, ma di una allegoria della perdizione. Il colle sul quale lo smarrito cerca di salire, illuminato dal sole (Inf, I 18)

che mena dritto altrui per ogni calle,

è chiaramente un colle figurativo; esso non ha alcuna collocazione nell'oltretomba cristiano; è solo una finzione per indicare la beatitudine di questa vita. Le fiere sono anche esse riconoscibili figure del peccato. Si tratta di immagini che erano familiari alla mente dell'uomo del Medioevo. Ma sono figure, non cose reali; in esse Dante ha probabilmente allegorizzato la superbia, l'incontinenza e la cupidigia. La lupa era una immagine usata per indicare la Chiesa di Roma.
In questi primi canti si parla dunque della occasione e dei precedenti della esperienza soprannaturale; del traviamento del poeta, prima di tutto. Egli dice che si risvegliò dall'errore, in cui era caduto, all'età di trentacinque anni, cioè nel 1300. Noi possiamo pensare che effettivamente nel 1300, magari per effetto del Giubileo a cui egli probabilmente partecipò, ci fu un fatto determinante nella vita del Poeta agli effetti della sua salvezza. Come abbiamo visto, la crisi morale, e probabilmente anche quella dottrinaria, si erano conchiuse quando egli scrisse la canzone Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete, cioè verso il 1296. Ma certamente passioni, errori, erano ancora tornati al suo spirito durante l'accesa partecipazione alla vita politica o per effetto di difficoltà teologiche incontrate. Sappiamo che errori e dubbi concernenti specialmente le teorie politiche continuarono ad agitare la mente del Poeta per lungo tempo, anche dopo il 1300. Fu solo nel 1313 o nel 1314 che si produsse in Dante lo stato d'animo da cui poté scaturire la visione. Ma non è inverosimile che il "sogno" abbia riportato il poeta al tempo del Giubileo, a quando egli aveva 35 anni, a un anno e un giorno particolarmente significativi. Tutti hanno sogni che a volte li riportano nel passato. Nel 1300 comunque, nel Venerdì Santo, ha inizio la storia delle cose che egli ha viste nella propria visione.
Non sappiamo nemmeno se Virgilio nella realtà della sua vita ebbe una efficacia decisiva agli effetti della sua conversione. La cosa è probabile. In Virgilio egli aveva trovato l'asserzione del divino destino di Roma, che fu uno dei fondamentali punti del suo distacco dalle dottrine averroistiche. Tuttavia l'incontro col Poeta latino in una spiaggia deserta è anch'esso una invenzione allegorica. L'uomo che (Inf., I 63)

per lungo silenzio parea fioco

è soltanto una figurazione per dire che egli si era incontrato con la poesia virgiliana, la quale da tempo, per tutto il periodo in cui aveva dominato la cultura naturalistica, era stata ignorata. Nel buio del proprio smarrimento questo incontro con l'insegnamento virgiliano poté apparire come un richiamo miracoloso mandatogli da Dio per la salvezza della propria anima. A questo richiamo egli aveva inevitabilmente opposto dubbi e resistenze, dapprincipio. Ma la conversazione spirituale con il Poeta latino lo aveva infine convinto che egli era chiamato a una missione soprannaturale. Egli aveva accettato in un certo senso la Chiamata di Dio e il suo mandato, ed aveva avuto inizio il viaggio vero, non più nei luoghi astratti della allegoria - il colle, la selva, la piaggia -, ma nel mondo tragico e reale delle anime dannate. Il primo canto finisce con un verso che già ci porta nel terreno concreto della storia dell'evento (Inf., I 136):

Allor si mosse, e io li tenni retro.

All'inizio del secondo canto il tono del racconto è quello dell'epopea, di una storia reale. E viene qui, al modo della poesia epica, l'invocazione alle Muse. Ma in verità non siamo entrati ancora nel mondo soprannaturale. C'è come una zona indefinita tra il piano allegorico e immaginario del primo canto e l'effettivo ingresso nell'Inferno che si avrà con il terzo canto. Sembra che il Poeta non abbia voluto segnare uno stacco. Gradualmente siamo condotti da una figurazione in cui, in termini immaginari, è narrata o riassunta la vita del Poeta anteriore alla visione, al racconto diretto del cammino nell'aldilà. Beatrice stessa, in questa specie di introduzione, è salutata da Virgilio (Inf., II 76-78) in termini di allegoria come la

donna di virtù sola per cui
l'umana spezie eccede ogni contento
di quel ciel c' ha minor li cerchi sui,

che è chiaramente un riferimento a Beatrice come allegoria della Sapienza. Così ciò che è detto da Virgilio per spiegare a Dante il perché della propria venuta, della Madonna che chiama s. Lucia e le dice di soccorrere Dante il suo «fedele», di s. Lucia che va da Beatrice, «loda di Dio vera», per dirle di aiutare il suo amato che è «su la fiumana ove 'l mar non ha vanto» (Inf., II 108), di Beatrice che fa andare Virgilio, è in sostanza una descrizione schematica del moto della Grazia, nelle sue varie fasi, che viene a sollecitare e integrare le forze naturali dell’uomo in lotto contro le acque della perdizione. Le tre sante donne sono rispettivamente: la Vergine, la Grazie preveniente; s. Lucia, la Grazia assistente; Beatrice, la Grazie efficiente.
È, come abbiamo detto, il resoconto sommario, allegorico di ciò che ha preceduto, nella vita del Poeta, l'evento miracoloso, la "visione" reale delle pene dell'Inferno. Ma è anche di più. Per questa via Dante ci ha dato l'indicazione dei significati universali che dovremo vedere in Virgilio, in Beatrice, nel personaggio Dante, nel corso della soprannaturale vicenda. È come una chiave che ci è data o come un preludio musicale in cui sono accennati i motivi più profondi e universali del dramma che sarà raccontato. Alla fine del secondo canto abbiamo come una ripresa; un verso che sembra continuare quello finale del primo canto, e ci dice (Inf., II 142):

intrai per lo cammino alto e silvestro.

L'esperienza del peccato è ora davvero cominciata. All'inizio del canto seguente siamo davanti alla scritta di colore oscuro dell'Inferno.
Non è detto che l'inizio allegorico che noi abbiamo cercato di distinguere non comporti un certo disorientamento per il lettore moderno. Per il fatto che in esso il Poeta parla di bestie immaginarie, di colli della beatitudine, di selve dell'errore, e si riferisce a Virgilio, a Beatrice come a "figure" di astratte entità, è accaduto che i lettori abbiano facilmente pensato alla Divina Commedia come a un'opera affine al Romande la Rose, cioè a una costruzione astratta ed a una narrazione fittizia. Per questo nella quasi totalità dei casi il discorso intorno al Poema o il commento incomincia presso a poco così: «Il Poeta immagina di essersi smarrito in una selva...» e si parla del seguito come di una continuazione di questa immaginazione. Ma con questo si finisce per perdere di vista proprio ciò che è fondamentale della poesia dantesca, il senso reale, storico, profetico. Tra le scene dell'Inferno, che agli occhi del Poeta cristiano hanno una loro terribile realtà, e la selva, il colle, le fiere che la comune immaginazione poetica del tempo usava come allegorie di certe astratte nozioni, il distacco è assai grande, ed è un errore sostanziale ignorarlo.
Occorre rilevare, d'altro lato, che dal punto di vista del poeta avere evitato di segnare una chiara separazione tra l'introduzione allegorica e l'effettiva realtà storica riportata, l'essersi servito, innanzitutto, di una figurazione allegorica per dirci l'antefatto della sua storia ha certamente una profonda giustificazione teologica, oltre che un'alta conseguenza poetica, ed è certamente di grande importanza per la nostra comprensione del Poema. È chiaro, innanzi tutto, che una qualsiasi esperienza soprannaturale non ha un inizio determinabile. L'animo si trova a poco a poco in una sfera che non è più quella della comune, tangibile realtà. Il passaggio non è avvertibile. Attraverso il colloquio con Virgilio e la sua poesia, Dante ha sentito che qualcosa di miracoloso era subentrato nella propria vita. La lettura e la nuova comprensione del poeta latino dovette dargli l'impressione di una grazia speciale che gli era data. Quell'incontro era stato voluto in Alto.
E già nella introduzione del Poema Virgilio stesso gli dice che egli è il poeta che nacque «sub Julio» e cantò del figliuolo di Anchise ma egli è stato mandato, che ci sono tre donne benedette che hanno avuto cura di lui, che Beatrice gli è apparsa come loda di Dio vera e come una che non può essere contaminata dalla «miseria» dell'Inferno. Siamo dunque in una atmosfera soprannaturale e nello stesso tempo abbiamo l'indicazione del significato simbolico che dobbiamo sempre percepire al di là della storia individuale del protagonista. Beatrice non è solo la santa che viene in aiuto alla persona amata smarrita, ma rappresenta, è la «donna di virtù», o almeno così la vede Virgilio, «sola per cui / l'umana spezie eccede ogni contento / di quel ciel c'ha minor li cerchi sui» (Inf., II 76-78), è cioè personificazione o simbolo di una Verità che Virgilio crede sia la verità filosofica, ma è in realtà la verità rivelata. Siamo in grado, cioè, di percepire che oltre la storia personale c'è la storia universale dell'Uomo dentro di essa. Come in un preludio musicale ci è data la chiave per seguire la doppia trama, reale e metafisica, della storia.

Date: 2021-12-25