L'allegorismo e le fonti della Divina Commedia [Giorgio Petrocchi]

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Dati bibliografici

Autore: Giorgio Petrocchi

Tratto da: Dante e il suo tempo

Editore: Edizioni RAI - Radiotelevisione Italiana, Torino

Anno: 1962

Pagine: 69-75

Il gusto per il simbolo e l'allegoria è una delle note caratteristiche della civiltà letteraria del Medioevo, e noi lo ritroviamo alla base della Divina Commedia, la quale altro non vuole essere che uno dei tanti poemi allegorico-didattici che il Duecento volgare aveva messo in auge: cioè un poema che attraverso l'allegoria insegnasse ed educasse. Dietro il velo dell'allegoria si nasconde la verità. anzi si celano le numerose verità che il poeta si propone di esprimere: da quella in tema d'amore a quelle ispirate agli ideali politici. Il velame del simbolo è sentito come l'unica possibile forma di comunicazione con la poesia; così avevano insegnato alcuni poeti classici che si erano serviti della allegoria per insegnare; così si erano espressi i poeti francesi e provenzali. Nei primi del "Trecento il simbolismo provenzale è così radicato nella coscienza letteraria, che un dotto professore di latino dello Studio di Padova sente la necessità di raccogliere un'antologia della lirica in lingua d'oc (cioè nella lingua della Provenza); nello stesso periodo alcuni letterati si impegnano a scrivere glossari e grammatiche che consentano la diffusione della lingua d'oc in Italia. Nemmeno i dotti minacciano. per il momento, la validità del simbolismo, il quale resta fatto spirituale e tecnico anche nei primi del Trecento, e anche dopo, allorché la divulgazione della Commedia dantesca sollecita ad imitare senza più rinnovare.
La struttura allegorica del poema sacro è così complessa che qui saremmo costretti ad addentrarci in sottilissime questioni soltanto per spiegarne i capisaldi. E d'altronde il fine di queste lezioni, come ho già detto, non è quello di analizzare e commentare l'opera di Dante, ma di stabilire alcuni punti di discussione per conoscere il rapporto che lega l'Alighieri al suo tempo. Ora uno di questi fini, il più delicato ma anche il meno facilmente sopprimibile; è costituito dal carattere allegorico del poema: la selva selvaggia, le tre fiere, il veltro, la guida Virgilio, ecc. ecc. Al solo confrontare la Commedia ad uno dei poemi allegorico-didattici che l'hanno preceduta, ci si accorge che la cultura e la fantasia dantesca hanno tanta ampiezza e potenza che non si potrà ritenere tali poemi altro che pallidi incentivi e timide premesse. Tra le visioni e le rappresentazioni dell'oltretomba cristiano alle quali Dante si sarebbe ispirato, si ricordano la Navigazione di San Brandano, il Purgatorio di San Patrizio, la Visione di San Paolo o quella di Tundalo o quella di Frate Alberico, oppure il De Babilonia infernali e il De Ierusalem coelesti di Giacomo da Verona e il Libro delle Tre Scritture di Bonvesin da Riva. Si è soprattutto insistito sui rapporti tra la Commedia e un'opera della letteratura mussulmana: la Scala di Maometto. Ma oggi si tende a limitare al massimo l'influsso che queste opere (alcune delle quali certamente conosciute da Dante) poterono esercitare sulla creazione del nostro massimo poema religioso.
Le vere fonti della Divina Commedia sono altre: la Bibbia, l'Eneide di Virgilio, la Metamorfosi di Ovidio, la Tebaide di Stazio, la Farsalia di Lucano, il Somnium Scipionis di Cicerone, la Summa Theologiae di San Tommaso d'Aquino. Queste sono le opere che hanno aperto nuovi orizzonti allo spirito dantesco, soprattutto la Bibbia e l'Eneide, e nel tentativo di plasmare la struttura del poema duecentesco in una gigantesca proporzione pari a quelle biblica o virgiliana sta il rapporto tra l'allegorismo medioevale come mera sollecitazione e la creazione dantesca.
I contemporanei potranno intendere la grandiosità di quest'opera e in parte tentare di imitarla, ma nessuno si periterà a ripetere quel grandioso disegno strutturale. E ciò avviene per una circostanza di primaria importanza: che. solo Dante possiede quella vastissima conoscenza della materia filosofica e teologica che è la base dell'allegorismo; gli altri letterati hanno qualche sporadica cognizione in proposito, e si limitano a rimanipolare concetti e accostamenti di «immagini filosofiche» più volte utilizzati dai poeti del secolo precedente. L'allegoria assorbe tutti gli elementi della riflessione morale; ma può accadere l'inverso, e cioè che il proposito di esporre una conoscenza enciclopedica dello scibile riduce ad accessoria la figurazione simbolica. Nessuno, tra il Duecento e il Trecento, ha la capacità dantesca di equilibrare i simboli con la realtà umana e morale; nessuno ha quella sublime altezza di penetrazione nell'allegoria sotto la forza di un'esperienza terrena e religiosa così concreta, così netta, così sofferta come ebbe il creatore dell'Inferno, del Purgatorio e del Paradiso.

1. L'allegoria e il simbolo

Che cos'è l'allegoria?

L'allegoria è una figura retorica attraverso la quale lo scrittore invece di rappresentare una determinata realtà, ne rappresenta una proiezione fantastica, cioè fissa alcune figure che sono al di fuori della realtà, le quali però hanno il valore del simbolo della realtà stessa. Ora l'allegoria e il simbolo sono due elementi costitutivi del gusto e della sensibilità medievale, e naturalmente sono talmente uniti tra di loro che è impossibile distinguere qual è il simbolo e qual è l'allegoria. Spesso anche una semplice immagine suscita in un poeta medievale il senso di un interiore simbolo.

Ma come mai il simbolo è così caratteristico del Due-Trecento? Quale fondamento aveva?

In parte questo deriva dalla stessa formazione spirituale per cui le cose veramente importanti dell'animo umano non possono e non debbono essere espresse direttamente, concretamente, ma devono essere appunto riversate nell'allegoria e nel simbolo. Il poeta del Medioevo non ha la possibilità di esprimere il proprio interesse per determinati ideali in una forma diretta; ha bisogno di ricorrere al simbolo, per cui invece di un determinato concetto e di un determinato oggetto, entra in funzione il simbolo di quel concetto e di quell'oggetto; come il simbolo della filosofia nella Divina Commedia è Virgilio; come il simbolo della teologia, della verità rivelata nella Divina Commedia è Beatrice. Virgilio e Beatrice non perdono caratteristiche umane, anzi ne hanno moltissime nel corso del poema; ciononostante non perdono mai anche il loro carattere di simbolo. E così per tanti altri personaggi simbolici della Divina Commedia.

Era facile per i contemporanei di Dante interpretare tutte queste allegorie contenute nella Divina Commedia? Nella Divina Commedia comprendevano facilmente queste allegorie?

La Divina Commedia non era un testo facile. Non lo è oggi nemmeno per noi. Chi di noi può leggere la Divina Commedia, anche tra i dantologi, tra gli studiosi di Dante, senza avere quel corredo di informazioni che è fondamentale? È un testo estremamente difficile che si può leggere soltanto potendo ricorrere ai testi o classici o medievali, o ai grandi commentatori, che ci illuminano su un determinato problema. Ancor più doveva esserlo per i contemporanei, specie in quel campo della dottrina di Dante legato ad una conoscenza dell'aristotelismo e della scolastica.

I poemi sull'oltretomba.

Lei parlando delle fonti a cui potrebbe aver fatto riferimento l'Alighieri nel creare la Divina Commedia, ha citato un certo numero di opere a carattere morale e religioso...

Dirò di più, non solo opere a carattere religioso e morale, ma sono opere - come si dice - escatologiche, cioè dove si rappresenta (questa è l'escatologia, che esamina le credenze religiose sui destini ultimi dell'umanità dopo la morte corporale) un viaggio nell'Oltretomba cristiano, o, per l'escatologia mussulmana, un viaggio nel giardino che Maometto ha promesso ai suoi fedeli. Quindi questi poemi escatologici sono fittamente rappresentati nel Duecento proprio perché l'interesse di spiriti profondamente religiosi porta i poeti a sognare, a vagheggiare come sia questo mondo al quale tendono le anime, cioè il Purgatorio e il Paradiso, o qual è quel mondo dal quale essi desiderano essere lontani, cioè l'Inferno. Quindi questo interesse per l'oltretomba cristiano è un interesse legato alla profonda religiosità dell'epoca. Ora questo interesse diventa per i poeti un interesse anche narrativo, fantastico. Come sarà fatto questo inferno? Come sarà fatto questo purgatorio, questo paradiso? E ciò rappresentano in forme narrative rozze, grossolane - quelle ad esempio del Purgatorio di San Patrizio, o perfino di Giacomino da Verona e di Bonvesin da Riva - e estremamente complesse e ricche di elementi e di fatti, come nella Divina Commedia.

Ma a questo interesse degli autori corrispondeva un interesse da parte dei lettori?

Moltissimo. Anche i lettori volevano sapere com'era l'inferno. Se si potevano narrativamente riferire le esperienze di Santi che avevano visto in sogno l'esistenza dell'inferno e del paradiso, anche i poeti potevano supporre un viaggio dettato dalla fantasia. Sono un po', questi poemi, come i romanzi più attesi, più letti e più acquistati dal pubblico medievale; scusate naturalmente il modo paradossale di esprimermi.

E questi lettori che leggevano con tanto interesse la Divina Commedia, naturalmente non si interessavano affatto delle allegorie che potevano rappresentare le cose descritte?

Naturalmente per un uditorio o per lettori popolani la parte allegorica, come anche quella scientifica e teologica, non era comprensibile; ma per gli uomini di cultura c'era la possibilità di penetrare e studiare quel che nascondeva il velo dell'allegoria.

Ma forse la capacità di ottenebrare i simboli con la realtà umana e morale, come lei ha detto: è forse proprio questo che differenzia Dante dagli altri poemi allegorici?

Senza dubbio, senza dubbio. Se noi leggiamo questi poemi allegorici, la parte umana è, come ho detto, spesso anche modesta o assolutamente insignificante. Come anche la parte allegorica appare piuttosto schematica, scheletrica. Dante trova sempre la possibilità di arricchire l'uno e l'altro dei settori. È anche indice di quel realismo dì Dante, no? Appunto, ho parlato di realismo. Il realismo dantesco entra nella Divina Commedia in questa felice funzione di equilibrio con il simbolismo.

Date: 2021-12-25