Filologia, poesia, allegoria [Giorgio Inglese]

Dati bibliografici

Autore: Giorgio Inglese

Tratto da: Scritti su Dante

Editore: Carocci, Roma

Anno: 2021

Pagine: 19-28

Se il rischio della lectura per canti singoli - gloriosa e sempreverde modalità del dantismo - è l'ipertrofia interpretativa (motivata, perché è pur vero che "cucco" Dante si può ritrovare, volendo, in ogni terzina, se non proprio in ogni verso), grande vantaggio della lettura integrale in forma di commento è la brevità forzata, l'obbligo alla sintesi, a fissare lo sguardo su quanto, di ogni pagina, sia caratteristico e imprescindibile, a delegare al sistema dei rinvii l'indicazione delle linee portanti, del progressivo costituirsi del significato.
"Necessario" in verità soltanto per chi lo redige, un nuovo commento al poema può riuscire utile anche per altri nella misura in cui esso si faccia collettore non acritico delle novità che la critica saggistica ha conquistato (ma più spesso recuperato) nell'intervallo tra un'impresa glossatoria e l'altra. L'impresa che sottoscrivo (cfr. Inglese, 2016; la prima edizione dell'Inferno è uscita nel 2007) vuole caratterizzarsi per la complanarità di commento interpretativo e revisione del testo. Il tentativo pare giustificato dallo stato dell'arte. Dalla metà degli anni Novanta il testo critico curato da Petrocchi (1966-67) è stato messo radicalmente in discussione. Non era più possibile che un commento gli fosse allegato a occhi chiusi (ancora Anna Maria Chiavacci Leonardi, 1991-97, vol. I, p. XXXIV, se ne scostava, per quanto è dell'Inferno, in appena una decina di luoghi «nella maggior parte dei casi per tornare al cesto del Vandelli»). D'altro canto, nemmeno era possibile, senza un passaggio esegetico, sbloccare la critica testuale del poema dalla contraddizione fra istanza ricostruttiva e fede nel documento (si vedano le edizioni di Antonio Lanza del 1995 e di Federico Sanguineti del 2001).
La revisione depone, in misura amplissima, a favore e conferma di Petrocchi. Le variazioni di sostanza sono meno di cinquecento, ma quelle davvero incidenti sul significato non superano il centinaio. Rifatta di sana pianta, invece, secondo le prospettive metodologiche oggi prevalenti, è la "veste linguistica" in base alla fonomorfologia del manoscritto base, il Trivulziano 1080 (con pochissime esclusioni di forme proprie del fiorentino pieno trecentesco): se ne avvantaggia la notazione di grammatica storica, ora applicata sempre e solo a forme puntualmente documentate.
Come esempio di variazioni incisive, rispetto al testo di Petrocchi, segnalo If 6.18: Cerbero «graffia li spiriti, ingoia e disquatra»; lf 33.78: Ugolino «riprese il teschio misero co' denti / che forar ["forarono"] l'osso, come d'un can forti» (oltre che il commento, cfr. infra, pp. 153-8); Pg 12.87: «come persona in cui dolor fa fretta»; Pd 17.42: «nave che per corrente giù discende».

Nelle intenzioni (per poco che valgano), questo insieme "revisione + commento" appartiene tutto alla filologia, ovvero alla disciplina che persegue l'accertamento obiettivo dei significati "letterali" del testo. Faccio mio, al riguardo, un bel paragrafo di Guglielmo Gorni:

Chi scrive ha dovuto rendersi conto che per dantisti di formazione non filologica la certezza logica che certe procedure della filologia testuale rivendicano a buon diritto è tutt'altro che pacificamente ammessa. La filologia, ai loro occhi, non è che un'opzione possibile [...]. Per costoro [...] la filologia testuale è una modalità, non un postulato; un parametro facoltativo d'indagine e non una pregiudiziale, un valore che invece qui si persegue sempre (Gorni, 2008, p. XIX, corsivo mio).

Date: 2021-12-23