Croce critico di Dante [Ernesto G. Caserta]

Dati bibliografici

Autore: Ernesto G. Caserta

Tratto da: Dante Studies, with the Annual Report of the Dante Society

Numero: 106

Anno: 1988

Pagine: 61-79

Dopo circa settant'anni dalla pubblicazione del saggio crociano su Dante, La poesia di Dante, avvenuta nel 1921, sorgono spontanee le seguenti domande: che cosa resta di vivo e di valido del saggio? quale contributo ha apportato agli studi danteschi e quale importanza può avere nella critica dantesca d'oggi?
È nostra intenzione d'esaminare "ciò che e vivo e ciò che e morto" del saggio crociano su Dante, usando il metodo dello stesso Croce. Anzitutto cercheremo di sottolineare le componenti principali della lettura dantesca crociana, i punti innovatori, positivi e i limiti; in seguito daremo un rapido sguardo ad alcune correnti e ad alcuni dantisti che hanno più da vicino seguito o sviluppato l’interpretazione crociana di Dante, e ad alcuni altri che, invece, l'hanno rifiutata, seguendo diverse metodologie critiche, com'e il caso della critica dantesca americana.
Croce, si rivolse allo studio critico dei grandi poeti italiani ed europei solo quando senti di essere adeguatamente preparato al grave compito, quando ebbe arricchito e precisato la sua teoria estetica ed affinato la sua metodologia critica. L'esame spregiudicato e minuto di oltre un'ottantina di scrittori contribuì a maturare in lui quella che suole designarsi la terza fase del suo pensiero estetico-critico, la quale e anche la più felice della sua attività di critico letterario.
Nel periodo bellico, con una serie di scritti ("II carattere di totalità della espressione artistica," "La riforma della storia letteraria ed artistica," "L'arte come creazione e la creazione come fare," e altri minori che videro la luce nel 1920 nel volume Nuovi saggi di estetica), Croce ampliò la sua definizione dell’arte come intuizione lirica e pura, sottolineando il carattere essenzialmente cosmico ed eterno dell'espressione artistica.
II motivo occasionale per la stesura del saggio dantesco fu la celebra- zione del sesto centenario della morte del poeta. Nel 1920-1921 Croce era ministro della pubblica istruzione e sapeva che una tale occasione avrebbe dato la stura ai soliti scritti accademici ed agiografici, i quali avrebbero solo impinguato ulteriormente la bibliografia dantesca senza toccare la poesia di Dante o far rivivere nell'intimo l'esperienza sublime del mondo dantesco, facendo così poco onore alia memoria di Dante e agli studi italiani. Il saggio crociano e tutto sostenuto da un'alta polemica pedagogica, che ebbe inizio dal primo saggio di Croce su Bettinelli nel 1882, e ispira, in misura diversa, quasi tutta la sua critica. Si ricorda che anche De Sanctis occupo la carica di ministro della pubblica istruzione e che anche lui insistette sempre sulla necessita di ricondurre il pensiero dalle vane astrattezze al concreto della vita.
Croce volle fare omaggio a Dante col richiamare l'attenzione degli studiosi su ciò che rende Dante veramente immortale e caro ai lettori di tutto il mondo: ossia la sua arte, la sua personalità poetica ed umana. Anzitutto, egli voleva reagire a tutto quel complesso d'indagini che coltivavano i dantolatri, le quali sembravano aggirarsi nel vuoto; voleva "togliere Dante dalle mani dei dantisti, cioè liberarlo dalla guardia che gelosamente gli facevano coloro che si fregiavano di questo nome e coltivavano un genere di ricerche e dispute chiamate per antonomasia questioni dantesche." Lavoro dunque diretto a sgombrare quanto di arbitrario e di pedantesco i dantisti avevano introdotto nell'opera dantesca, e a introdurre una lettura metodologica della Commedia, dando ad un tempo un saggio di tale lettura. Come negli altri saggi precedenti più impegnativi e meglio riusciti, anche nello studio dell'arte dantesca si assiste a un incontro felice della critica in atto e della metodologia, dell’unita di teoria estetica e di critica letteraria.
Il titolo stesso del libro, "la poesia di Dante," e volutamente polemico ed indica tanto l'urgenza del problema poetico di cui Croce intendeva trattare, quanto il metodo con cui la lectura Dantis viene condotta. Nel saggio del '82 su Bettinelli, Croce fin d'allora considerava con un senso di fastidio le mistificazioni o le santificazioni di poeti e di scrittori. Tale atteggiamento di Croce per questo tipo di studi agiografici non muto mai, anzi s'ingagliardì sempre più. Nel saggio dantesco si sente perciò la tendenza consapevole alia demistificazione del culto dantesco, ossia del mito largamente vulgato di un Alighieri poeta "unico" e "singolare," affatto diverso dagli altri poeti italiani e stranieri, del quale e ammesso solo parlare in termini di indiscriminata ed agiografica ammirazione. Mito che, sorto nel periodo risorgimentale e romantico, andava compreso nei suoi giusti termini storici e doveva essere sgombrato proprio dalla nebbia del mito per poter ascoltare il canto genuino di Dante.
Questi i motivi intenzionali del saggio. Quanto all'attuale tematica essa e molto ricca e complessa e dovremo procedere per analisi per toccarne i punti principali, anche perché il saggio e stato spesso fatto oggetto di critica poco benevola nella quale si mostra scarsa comprensione del pensiero crociano.
All'inizio del saggio si asserisce che le opere di Dante e la Commedia vanno lette e giudicate con gli stessi criteri estetici con cui si suole leggere e giudicare le opere di ogni altro poeta, e non c’è necessita alcuna che ci debba indurre a trattarle diversamente. Ciò che dovrebbe interessare maggiormente lo studioso di Dante dovrebbe essere ciò che interessa il critico di ogni altro poeta, cioè l'arte, la poesia. Com'era stato interpretato Dante per il passato? Come era interpretato dai più nel tempo di Croce? Con le dovute eccezioni, non precipuamente dal punto di vista artistico.
Come aveva fatto per gli altri poeti, anche per Dante Croce rifà la storia della critica, che questa volta colloca in appendice (quasi come supplemento informativo) piuttosto che all'inizio o nel corso dell'indagine, standogli a cuore di entrare subito in medias res, di attaccare i dantomani e le loro indagini, che egli chiama "allotrie," cioè non pertinenti al compito proprio della critica e sconfinanti in altri tipi di indagine.
Uno dei problemi che allora affaccendava molto i dantisti e che a Croce sembrava ozioso, era l'interpretazione delle allegorie della Commedia; compito che sembrava riservato solo agli adepti di un rito, a cui Dante parlava in segreto per svelare i significati arcani. Insofferente di fronte a questo tipo di studi, Croce si abbandona a una polemica vivace. Voleva farla finita con quell'affannarsi dietro alle allegorie, le quali, quantunque si potessero spiegare, secondo lui, non apporterebbe nessuna svolta decisiva ad un'interpretazione della Commedia, ne alcun contributo significativo alia comprensione del valore della poesia dantesca.
D'altro canto, la figura di Dante nel corso della storia ha avuto facce mutevoli. Nel periodo romantico, ad esempio, Dante fu assunto a simbolo della patria e delle idee più alte e nobili. Il suo sdegnoso egoismo, la sua inflessibile tenacia di fronte alle avversità politiche e della vita, il suo vasto piano politico di una monarchia universale quale provvidenziale mezzo divino per condurre le anime sulla "diritta via," vennero esaltati come le espressioni più alte della sua poesia. Secondo gli interessi che avevano dominato le varie generazioni ed individui, si era avuto un Dante filosofo, saggio, moralista, teorico dello stato, linguista, teologo, giudice supremo che, disgustato e impietosito del mondo che mal viveva, voile risvegliare la coscienza morale e religiosa. Definizioni che Croce accetta, aggiungendo però che vanno interpretate alia luce della poesia. Dante gigante del pensiero, sta bene, ma del pensiero rivissuto e riplasmato mediante il potere della fantasia e il vigore dei sentimenti; ossia Dante gigante di poesia, come Omero, Virgilio, e Shakespeare. Di qui il problema urgente e principale: quello di leggere Dante come poeta.
Ciò che era evidente a Croce era il fatto che la critica dantesca era stata condotta senza una visione integrale del mondo poetico di Dante e senza un centro direttivo nell'intelligenza della poesia. Nel saggio su Paolo e Francesca, De Sanctis suggeriva ai suoi studenti di lasciare le "dispute agli oziosi da convento o da caffe"; se volevano gustar Dante, dovevano leggerlo "senza comenti, senz'altra compagnia che di lui solo, e non vi caglia di altri sensi che del letterale."
Croce, conscio della situazione storica di De Sanctis e della sua, si rendeva conto che certe vedute critiche desanctisiane (come ad esempio la superiorità poetica della prima cantica sulle altre due) andavano rettificate, vedendo che la differenza poetica della Commedia era piuttosto una questione di tonalità anziché di poesia quantitativamente superiore o inferiore. Rileggere in questa chiave non-romantica la Divina Commedia era per Croce il problema centrale e più urgente della critica dantesca contemporanea e con la sua lettura critica voleva darne l'avvio.
Prima di considerare il valore precipuo del saggio crociano e il suo contributo all'intelligenza dell'arte dantesca, crediamo opportuno lumeggiare altri punti intenzionali e teorici del saggio con l'intento di chiarire alcuni preconcetti che ancora sembrano radicati nella mente di certi dantisti insofferenti del crocianesimo. Prima di tutto Croce non intendeva affatto dare il bando ai benemeriti lavori filologici, ne si proponeva di svalutare le ricerche per una più esatta comprensione del pensiero politico, morale, religioso, ed estetico di Dante e del suo tempo; neppure mirava a svalutare le indagini biografiche del poeta, anch'esse considerate nei propri limiti legittime ed utili. Ciò che voleva, in fondo, era che non si confondesse Dante mortale con quello immortale, l'uomo dotto del Medioevo, l'interprete e l'espositore più o meno felice del pensiero del suo tempo, con il poeta immortale della Commedia, cioè la "materia" della poesia con la poesia, la quale per sua natura supera il pensiero e la vita pratica, vibrando da altre corde dello spirito: quelle dell’animo, che solo fa sorgere il canto. In breve, Croce dice che non bisogna leggere la Commedia per farvi delle annotazioni erudite e filologiche, per ritrovarvi la biografia pratica del poeta, per studiare il pensiero filosofico, teologico, politico, ed estetico di Dante e del suo tempo, ecc, bensi per gustarvi Parte, per rivivere il canto dantesco, per spiegarlo e definirlo ad altri lettori, profani o sviati in cerca di luce.
Se lo studio delle allegorie produce frutti sterili, poco giovevole alia comprensione dell’arte dantesca sarebbe pure lo studio della struttura della Commedia, che Croce chiama "romanzo teologico" o "romanzo etico-politico-teologico." La struttura sarebbe l’architettura, lo schema del poema; opera pratica e didascalica più che poetica; includerebbe la suddivisione dei peccatori, dei purganti, e dei beati secondo principi teologici e morali, le disquisizioni ed informazioni delle guide e delle anime, la topografia fisica e morale delle tre cantiche, l’orario del viaggio; ossia il mondo intenzionale e pratico, che non nasce da un motivo lirico ispiratore. Fra romanzo teologico e lirica, tuttavia, secondo Croce, non ci sarebbe frattura, separazione, la non poesia, ma unita inscindibile, anche se qua e la le parti strutturali possano prevalere abbassando il livello della poesia. La struttura, quando domina, decade a ciò che Croce chiamerà in seguito "letteratura." Il problema della struttura e stato uno dei più dibattuti dalla critica dantesca postcrociana e invero fu enunciato poco felicemente da Croce. Sara bene chiarirlo nei termini crociani per intendere meglio le reazioni di altri studiosi.
La liricità dell’arte, secondo Croce, non e un genere di poesia misto ad altri generi, ma il denominatore comune di ogni poesia. La teologia, il pensiero filosofico e politico, sono riducibili a poesia, ma una volta divenuti tali, perdono il loro carattere originario per acquistarne uno nuovo; diventano elementi di una nuova sintesi, quella estetica. Il problema delle allegorie viene risolto da Croce proprio in virtù del carattere lirico dell’arte. L'allegoria, si osserva, o e del tutto esterna alia poesia dantesca e allora sarebbe cosa diversa dalla poesia, o si mescola con essa in maniera estrinseca e allora si avrebbero delle configurazioni incoerenti, il brutto o, infine, si traduce compiutamente in immagini poetiche, e allora sarebbe come se non esistesse, dovendosi in tal caso parlare non più di allegoria, ma di espressione lirica.
Si e obiettato giustamente che Dante, nella sua lettera a Cangrande, confessa lui stesso di aver voluto dare un senso allegorico e morale alia sua opera, e che in ciò ubbidiva non solo al suo gusto estetico personale, ma a quello del suo tempo.
Le indagini critiche dirette a svelare le allegorie e quelle che illustrano il pensiero dantesco, la struttura della Commedia, secondo Croce, non sono propriamente critica letteraria, ma appunto "allotrie," ovvero si occupano di altro e non dell’arte dantesca. Ciò che con quelle indagini si studia e si spiega non e la poesia, ma il pensiero di Dante, il suo mondo intenzionale, dimenticando che nelle espressioni poetiche il pensiero si articola secondo nuove leggi; le leggi dell'arte. Che Dante abbia desiderato che si leggesse il suo poema in una certa chiave o che egli sia stato mosso nella sua creazione da certi intenti moralistici e didascalici, Croce non nega, ma fedele al pensiero estetico di Vico e di De Sanctis, scorge proprio in quelle preoccupazioni estrinseche le ragioni della presenza nella Commedia del "romanzo etico-teologico." Studiare la struttura, il "romanzo teologico," fare ricerche sulla topografia fisica e morale dei tre regni della Commedia, insomma, per Croce, non e lavoro inutile, ma ha i suoi limiti e non bisogna scambiare il mezzo per il fine, dimenticare Parte per il pensiero, che non costituisce la gloria maggiore di Dante. Nella lettura dantesca sono inezie, ad esempio, domandarsi, fino a che punto e se viene rispettata la legge del contrappasso, o perché un tale personaggio e stato collocato li e non altrove. Per Croce, il Dante della Commedia, come ogni altro poeta, si pone dinanzi al sapere e ai problemi del suo tempo con animo di poeta, diverso da quello del filosofo, dello scienziato, del retore; quello che entra nel suo poema e già segno d'una scelta, d'una preferenza, d'una selezione fatta secondo criteri estetici. Come nel Faust di Goethe Croce aveva rinvenuto parti disarmoniche che non si amalgamo col tutto, a causa del loro stesso carattere didascalico, cosi nella Commedia egli indica nella struttura, nel "romanzo teologico," la parte che sarebbe nata non da un motivo intimamente lirico, ma piuttosto pratico e didascalico. La struttura pur non essendo la "non poesia," pur non ingenerando il brutto e il fastidioso, non coinciderebbe con la poesia, ma si alternerebbe con essa secondo un processo d'unita dialettica.
I dantisti del tempo presero alia lettera la metafora crociana (con cui si paragona la Commedia a "una fabbrica robusta e massiccia") , e intesero distinzione per separazione. Di conseguenza si ebbero diverse accuse contro la minaccia di una divisione materiale della Commedia, ridotta, nella interpretazione crociana, quasi a una serie di frammenti lirici simili a tante perle disciolte. Croce sembro uno studente annoiato che, non riuscendo a comprendere il significato recondito dei vari sensi della poesia dantesca, e trovando il pensiero religioso di Dante non consono al suo gusto estetico, infastidito, aveva fatto tabula rasa di tutto con animo empio, ripetendo un po' lo scempio che aveva fatto poco prima a riguardo della poesia di Pascoli. Secondo alcuni (ad esempio Borgese), Croce aveva dato ancor una volta prova a sé e agli altri della insostenibilità delle sue dottrine estetiche, le quali di fronte a Dante si erano manifestate in tutta la loro insufficienza e fragilità. In reazione si ebbe una serie di scritti apologetici in cui si esaltava la sublimità di Dante e si dipingeva Croce come chi avesse profanato la memoria dantesca col ridurre il divino poeta (come Croce stesso umoristicamente osservava nel 1948) a "un uccello canterino." Scritti polemici che spesso rivelano il fragile fondamento su cui poggiava la critica dantesca e danno implicitamente ragione a Croce. La presenza della struttura nel poema dantesco non genera affatto, secondo Croce, una dicotomia insanabile di poesia e di non poesia; per lui la Commedia e senz'altro una, ma, come nel Faust goethiano, "chi ha occhio e orecchio per la poesia discerne, nel corso del poema, ciò che e strutturale e ciò che e poetico." Dante, come ogni altro poeta per vivere veramente negli animi degli uomini, dev'essere compreso nella sua essenza, nel suo valore universale, umano, e poetico.
Se questi, in breve, sono i motivi polemici e teorici del saggio crociano, qual e la lettura critica dell'opera dantesca? Quali i meriti, i limiti, e la sua fortuna critica?
La lettura critica crociana di Dante e piuttosto sommaria anche se incisiva, e per sostenutezza di stile ci pare al di sotto dei saggi precedenti su Ariosto e su Shakespeare. L'intenzione polemica e tanto insistente da captare quasi interamente l'interesse di Croce a scapito dell'intimo abbandono e a volte della serenità del giudizio.
Guardiamo da vicino alcuni suoi giudizi. Il Dante anteriore alia Commedia viene considerato con scarsa simpatia e con eccessiva severità, tanto grande sembrava a Croce il divario di levatura artistica tra le opere giovanili e il capolavoro da fargli parlare quasi di due Dante, quello giovanile e quello della maturità, quello minore delle opere anteriori alia Commedia e quello sublime della Commedia. La Vita Nuova e le Rime, secondo Croce, si aggirano intorno ad argomenti e schemi comuni che il poeta non riuscì a sovvertire e a dar loro vita nuova. Solo in alcuni componimenti Dante sarebbe riuscito a introdurre un raggio nuovo e fresco, a ritrarre delle immagini veramente sentite. La Vita Nuova sarebbe per Croce, in buona parte, poesia di scuola, l'omaggio di Dante alia scuola stilnovistica. Essa consisterebbe in "atti d'un culto, adempimenti di riti, cerimonie, drammi liturgici." Sarebbe stata scritta un po' a modo "di un libretto di devozione, con chiaro intento pio e con procedimenti conformi." Dante l'avrebbe composto da scolaro e da devoto "in memoria e onore di una santa a lui particolare, della donna-angelo, della Beatrice, che egli aveva cantata e il cui pensiero- pensiero di paradiso- doveva essergli guida tra le vicende e i travagli della vita terrena." Si avrebbero i soliti atteggiamenti stereotipati dell'amante di fronte alia sua dea, a cui si sciolgono lodi, al cui cospetto si trema, che appare nei sogni del poeta, mentre lui le chiede pietà e perdono. Situazioni che a Croce sembrano false ed irreali, e perciò si traducono il più delle volte in espressioni retoriche. Quando, però, Dante tralascia le costruzioni di testa e Beatrice non e più un'astrazione, ma s'identifica col sogno giovanile di bellezza, di soavità, e di purezza, allora - osserva Croce - Dante si esprime da poeta e il suo canto diviene sincero e schietto. Si hanno allora parole affettuose, immagini delicate e sentimenti ineffabili. Ma questo accadrebbe di rado, come ad esempio in Tanto gentile e tanto onesta pare o Negli occhi porta la mia donna amore e in un altro numero ristretto di rime.
Piu stretto rapporto col sommo poeta della Commedia avrebbero per Croce le opere dottrinali di Dante, la Monarchia, il Convivio, il De vulgari eloquentia, le Epistole; rapporto ovviamente non lirico, ma di materia, di pensiero. In esse si ritroverebbero gli interessi vivi del poeta, quelli culturali, morali e politici; i suoi amori ed odi, che nella Commedia trovano la loro sintesi e il suggello dell'arte. Per Croce e la personalità dell'artista che sta a fondamento dell'arte. Dante, come ogni altro grande poeta, doveva prima allargare ed approfondire la sua esperienza umana e di artista per arrivare poi a scrivere il suo capolavoro. La lettura della Commedia viene eseguita in maniera rapida con piglio fermo e deciso e con linee sicure che toccano nel vivo figure ed episodi centrali. Si sente, nella disamina critica, la padronanza di chi ha conseguito una sua verità e vuol impartirla ad altri, conscio che, rivelando apertamente il proprio pensiero senza "eclettiche combinazioni," senza "smussamenti ed accomodamenti," avrebbe prodotto qualche frutto negli studi danteschi; avrebbe indotto altri studiosi a pensare, a riproporsi problemi, a rettificare posizioni e giudizi, a rendere, in breve, viva la cultura per creare cultura viva.
La poesia dantesca della Commedia segue per Croce un processo ascensionale: da un inizio alquanto fiacco e titubante prenderebbe man mano forza e volo fino ad assurgere alia sua propria altezza. Il Paradiso e la cantica in cui la poesia dantesca rifulge di più. L’Inferno che ai critici romantici e a De Sanctis sembro superiore alle due altre cantiche, cederebbe in bellezza al Purgatorio e al Paradiso, più armonici e compatti. La questione non sarebbe di più e di meno, materialmente intesi, ma piuttosto di diversità di tensione e di tono poetico.
Definite le indagini sul pensiero e la dottrina di Dante "allotrie," e l'allegoria un prodotto pratico di volontà, segni che rimandano ad altro, per la cui interpretazione e necessaria la chiave, Croce legge la Commedia come una lunga lirica (anche Leopardi la definiva a questo modo), o meglio come una serie di liriche incatenate e sorrette dalla struttura. Giudica il poema come poesia pura, come fa con qualsiasi altro poeta, guardando non all'estetica di Dante e medievale, bensì ai criteri della sua estetica, quella dell'intuizione pura, e secondo il suo metodo critico, della critica giudicante, della poesia e della non poesia.
Come tutta la critica dantesca precedente, e fino a pochi decenni fa, Croce vede nella Commedia un solo Dante; Dante poeta e Dante personaggio s'identificano, sono uno solo, onde con spirito romantico afferma che Dante "lascia prorompere amori ed odi, simpatie ed antipatie," di modo che tutta la lettura risente di questa prospettiva unilaterale; di qui i peccati dei dannati, di Francesca, di Ulisse e via di seguito sono emozionalmente condivisi da Dante, poeta-personaggio. Detto ciò, non e nostra intenzione di rettificare le vedute e i giudizi di Croce su Dante. Bisognerebbe rifare il saggio, come tanti hanno fatto, fra cui Montano, contraddicendo tutto ciò che sostiene Croce. D'altro canto osserviamo che, pur volendo correggere e superare la critica dantesca di De Sanctis, Croce, in effetti, vi rimane dentro, anche se conduce l'indagine con maggiore coerenza e saldezza teorica.
I primi canti dell’Inferno sono giudicati da Croce piuttosto deboli, quasi che il poeta avesse difficolta a mettere in moto un'enorme macchina. Si procede con un'analisi testuale dei motivi e dei personaggi distinguendo la poesia dalla struttura, la lirica sublime dall'espressione prosastica, allegorica, pratica o d'altro genere. E una lettura penetrante di tipo contenutistico, che mira ad individuare e caratterizzare il motivo dominante di ciascun canto e i personaggi nelle varie scene e situazioni. Croce, al pari di un attento reporter, accompagna da vicino i due poeti, riassumendo le tappe principali del viaggio, gli incontri e le soste, definendo nella dinamica della rappresentazione Dante teologo e Dante poeta. La prima grande poesia, secondo Croce, si avrebbe nel canto v di Paolo e Francesca; preferenza da cui traspare palesemente l'influsso della lettura dantesca desanctisiana. Particolare risalto mette Croce sulle figure dei mostruosi guardiani o operai infernali (Caronte, Minosse, Cerbero, Plutone) soprattutto per lo spiccato senso di vitalità, terribili come le forze della natura in quel feroce ibridismo; tuttavia non approfondisce l'analisi, limitandosi a sintetizzare per sommi capi la trama dell'azione e a giudicarne i valori poetici o impoetici, mentre si sofferma più a lungo sui canti consacrati dalla tradizione e in particolar modo da De Sanctis; ossia i canti V, X, XIII, XV, XXVI, XXXIII e alcuni altri, spesso ribadendo concetti già assodati dalla critica dantesca. Per esempio, a proposito del canto di Ulisse, osserva che l’eroe greco era "peccaminoso, ma di sublime peccato." Parole di lode e di ammirazione si rivolgono anche a Francesca, a Farinata, a Pier della Vigna secondo una visione storica laica immanentistica, senza avvertire la condanna implicita del poeta, che muove i passi nelle tenebre del pellegrino Dante.
A difesa di Croce bisogna dire che la distinzione fra personaggio e poeta nel Dante della Commedia e conquista recente, per cui l'ammirazione per Ulisse che sfida le colonne di Ercole, e Farinata che si erge al di sopra delle fiamme infernali era condivisa un po' da tutti i dantisti e tuttora vige in certi ambienti letterari (si veda per esempio il saggio di M. Fubini sul canto di Ulisse [1952], esaltato ancora come eroe). Insomma, non tutti i giudizi crociani sulla Commedia vanno accettati e la lettura riflette un'epoca e una spiccata personalità critica, e non sta a noi qui correggere o modificare la lettura dantesca crociana, che ha molti pregi, ma anche risente dei limiti del proprio tempo.
Un medesimo tipo di lettura-distinzione fra poesia e non poesia (struttura), definizione del contenuto e dei personaggi- e seguito da Croce nella lettura delle altre due cantiche, per cui ci limiteremo a dare solo qualche esempio, essendo anche impossibile seguire passo passo l'analisi crociana. Anche nell'esame del Purgatorio Croce fa una critica contenutistica. Riassume con linee sobrie e incisive la continuazione del viaggio dantesco con la sua guida (Virgilio e poi Stazio e Beatrice), senza dare alcun peso ai significati allegorici e strutturali della cantica. Si sofferma a lungo dinanzi alia figura di Catone, "vecchio austero," come prima aveva fatto con Caronte ed altre figure-chiave della Commedia ma non si pone la serie di questioni che ossessionava la vita di tanti dantisti (perché Catone lì? veniva dal limbo? allora perché non riconosce Virgilio? prima di Cristo il purgatorio non c'era, e via di seguito). Croce continua ad accompagnare di pari passo i due viaggiatori, annotando e criticando. A proposito di Catone, Croce nota che e rappresentato "come la persona in cui il poeta attua uno dei lati del suo ideale etico: la rigida rettitudine, l'adempimento dell'alto dovere" (p. 100).
A differenza di De Sanctis, Croce non analizza con dettagli e in profondità i personaggi. Resta al senso letterale, alia spiegazione della rappresentazione come si presenta davanti ai suoi occhi. Lasciato Catone, Croce procede con l'incontro di Casella fornendo ragguagli e dilucidazioni, e in questo modo continua l'ascesa della montagna con i due poeti fino alia sommità del paradiso terrestre, rifacendone il tragitto.
La lettura tersa e sobria non risulta mai piatta e monotona, perché costantemente sostenuta e ravvivata da osservazioni acute, da sintesi perspicaci ed illuminanti, che definiscono nelle linee essenziali scene e personaggi (Manfredi, Belacqua, Buonconte, Sordello, e molti altri) e nel loro motivo ispiratore. Anche qui valgono le medesime osservazioni e riserve fatte circa la prima cantica: molti giudizi sono soggettivi e andrebbero ritoccati (per esempio quanto si dice su Guido del Duca, Marco Lombardo, e molti altri). Ci basta qui aver dato un esempio concreto della sua lettura, che lascia insoddisfatto il lettore di oggi. Bisogna precisare che le varie intromesse didascaliche sia di Virgilio, sia di Marco Lombardo, sia di Stazio e Beatrice, non sono giudicate impoetiche da Croce, in quanto si tratterebbe di "dialettica convertita in spettacolo estetico" (p. 116). La figura di Matelda e descritta con particolare finezza introspettiva e definita una delle più belle creature della cantica su uno stupendo sfondo paesistico. Le scene degli ultimi canti del Purgatorio, infine - sostiene Croce - esorbitano dalla vera poesia e appartengono ai drammi liturgici, cariche come sono di figure allegoriche, che per Croce sono segni indecifrabili, se non si e in possesso della chiave (siamo qui di fronte alia processione, che precede l'arrivo trionfale di Beatrice sul carro tirato dal Grifone). Beatrice, d'altra parte, non solo non sarebbe figura allegorica, ma rifulge della più alta poesia. Non e più quella cantata nei versi giovanili da Dante, ma ne conserva il ricordo, ed e "nuova, solenne, severa, sapiente, amorevole." Ella squarcia ogni velo allegorico e riscopre l'umano, il divino nell'umano; ove si rivela la preferenza di Croce per la poesia in cui il divino si umanizza, come diceva De Sanctis, il divino e calato nell'umano e nella storia. Osserviamo, a chiusura di questa parte, che la struttura come l'allegoria non sono separabili nella Commedia dalla poesia, formano una sola opera organica, tuttavia e necessario avvertire la distinzione fra poesia pura, struttura e allegoria perché coesistono nel poema, pur se in maniera dialettica, e ci permettono d'avvertire la diversa natura e livello della poesia.
Dopo quanto abbiamo detto sulla metodologia della lettura dantesca di Croce, c’è poco da aggiungere circa il suo metodo di lettura del Paradiso. Si definisce anche qui il poetico dall'impoetico, la poesia dalla struttura. Ci limitiamo anche qui a sottolineare qualche esempio. Bisogna anzitutto riconoscere a Croce il merito d'aver rilevato la superiorità poetica del Paradiso rispetto alle altre due cantiche. L’Inferno era stata la cantica sempre preferita dai dantisti. La preferenza crociana attesta che per Croce la visione mistica e la teologia non ostacolano la poesia, ma possono in molti casi esprimersi in schietto e sublime canto poetico. Si nota, per esempio, che il dramma d'amore tace innanzi al gran compito di salire di Stella in Stella e "tutto vedere e tutto udire e apprendere," ma non tace al punto che qua e là risurga e baleni. Il divino si umanizza; Beatrice volando ha i piedi sulla terra, diviene sorella maggiore, diplomata, dolce guida. L'idea mistica e astratta della poesia giovanile trova qui, di Stella in Stella, la concreta attuazione ed espressione. Alia maniera della disamina delle due cantiche precedenti, Croce rifà passo passo l'itinerario spirituale di Dante definendo scene e personaggi: Piccarda, Costanza, Romeo, Carlo Martello, e così di seguito, soffermandosi sulle figure maggiori e i temi più discussi o controversi. Per esempio nota che gli stupendi spettacoli di luce e i canti corali, pur avendo un senso dottrinale ed allegorico, oltre a quello letterale e poetico, in questa cantica i due sensi si fondono, diventano uno; ciò non toglie che in alcuni punti la prevalenza delle allegorie, degli artifici e delle iperboli fanno decadere la poesia in astrattezze. Tuttavia, questi punti sono rari e la poesia penetra invece dappertutto persino "nello schema rappresentativo-dottrinale," che fa confutare a Croce "il volgare giudizio onde si nega virtù poetica al Paradiso o si considera la poesia del Paradiso inferiore alle altre cantiche." Per Croce non solo e grande, cosmica poesia, ma anche di tonalità diversa con una fisionomia tutta propria.
L'analisi del Paradiso e condotta da Croce con maggiore libertà di movimento secondo nuclei tematici e gruppi di personaggi senza seguire canto per canto il volo all'empireo di Dante. Croce cita molti passi per illustrare quanto asserisce, e continua a mettere in rilievo la grande poesia in contrasto con quella poco riuscita a causa della prevalenza d'altri motivi, didascalici, oratori o retorici secondo una coerenza logica sorprendente, venata tuttavia da soggettivismo, da preferenze personali e da un gusto romantico. Particolare accento Croce mette sulla poesia personale di Dante poeta-vate, la quale raggiunge la sua massima espressione alia meta della cantica, nell'episodio del trisavolo Cacciaguida. Quanto all'unita del poema dantesco, al suo "ethos" e "pathos," consisterebbe, secondo Croce, nel "sentimento del mondo, fondato sopra una ferma fede e un sicuro giudizio, e animato da una robusta volontà."
I limiti della lettura crociana della Commedia scaturiscono non dai canoni metodologici con cui la lectura Dantis viene eseguita, tanto meno dalla concezione estetica e filosofica crociana, quanto dalle stesse intenzioni polemiche e didascaliche del saggio e in parte da una certa preferenza di Croce per il motivo sentimentale e concretamente umanizzato in cui lo slancio mistico per il divino o il ragionamento logico devono essere pienamente tradotti in termini lirici ed umani (devono risuonare le corde dell'animo) per essere considerati poesia. Donde la scarsa simpatia di Croce per l'insistenza in alcune parti del poema delle discussioni filoso- fiche, teologiche, o di natura puramente pratica; e la distinzione di poesia e di "romanzo teologico," che equivarrebbe a ciò che Croce chiamerà nella Poesia "letteratura."
È stato obiettato più volte, e anche di recente, che un poeta come Dante, in cui l'interesse etico-religioso, la passione per la filosofia e la teologia sono dominanti, non può spiegarsi compiutamente in termini dell'estetica crociana. Noi non siamo di questo parere. L'estetica crociana non esclude affatto dalla poesia l'ardore religioso, intellettuale ed etico, ne il pensiero filosofico e teologico. La creazione artistica, tuttavia, supera il pensiero, gli dà vita nuova, riducendolo a materia di canto mediante la forza del sentimento e della fantasia.
Secondo Croce, dunque, Dante non riesce sommo poeta in tutti i punti del suo poema, ma solo artista (per usare la nota distinzione desanctisiana) nei punti in cui si lascia dominare da preoccupazioni non- estetiche; come accade per ogni poeta quando, invece di esprimere fedelmente il proprio mondo, la propria visione della vita e della realtà, si lascia dominare da altre preoccupazioni. Nella lettura della Commedia e nei successivi ritorni sulla poesia dantesca (come ad esempio il saggio sull’ultimo canto del Paradiso del 1948), Croce mostra che Dante riesce a esprimere da vero poeta la sua fede e il suo pensiero teologico ogni qualvolta questi si concretizzano, s'interiorizzano, si umanizzano, diventano canto e musica.
I limiti della lettura dantesca di Croce, insomma, sono quelli stessi un po' comuni ad ogni lettura di poesia, incluse quelle eseguite con minuzia di analisi e con intenti artistici di ricreare il pathos umano e la bellezza di singoli episodi e figure. Limiti che nascono dalla natura stessa dell'arte, la quale non può essere copiata e riprodotta. II lettore, avvicinandosi alia fonte sempre viva della poesia, sente nuove voci, una nuova melodia; di conseguenza ogni lettura critica (specialmente se eseguita in momenti storici diversi) non può soddisfarlo del tutto e gli appare sempre insufficiente e manchevole in certi punti. Nel suo saggio, Croce voleva semplicemente introdurre e stimolare la lettura della poesia di Dante con l'indicare come doveva condursi e dove bisognava guardare; e in questi limiti il saggio raggiunge compiutamente il suo scopo.
La lettura crociana di Dante, nelle sue linee essenziali, rimane, a nostro parere, tuttora valida. Croce, nel suo saggio, mostra di sentire la sublimità dell'arte dantesca e in molte occasioni riesce a farlo trasparire palesemente, non solo nel tratteggiare alcune figure principali del poema dantesco, ma anche nel riassumere le tappe salienti dell'esperienza poetica di Dante. È compito, naturalmente, della critica contemporanea e di ciascun lettore, amante di poesia, reinterpretare, rivivere, e ricreare l'esperienza poetica dantesca.
Che il saggio crociano contenga una tematica fertile e ricca di stimoli lo sta a provare l’influsso che esso ha esercitato sulla critica dantesca più recente. Influsso benefico anche in quei casi in cui, per reazione all'interpretazione crociana, ha fatto sorgere degli studi che sono in antitesi con l'interpretazione crociana. Se si dà uno sguardo alia critica dantesca postcrociana, si osserva che l'interpretazione di Croce ha influito in maggiore o minore misura sugli studi più significativi che sono usciti in quest'ultimi decenni su Dante. Il filone critico più cospicuo della critica dantesca italiana in sostanza ha esemplificato, modificato e sviluppato l'interpretazione crociana, che nella sua forma e alquanto rigida e schematica.
Di diretta derivazione dallo studio crociano sono, ad esempio, il libro di Mario Rossi, Gusto filologico e gusto poetico (1942), nel quale si tenta di sviluppare il rapporto dialettico di struttura e poesia posto da Croce e gli studi di Flora, di Momigliano, di Russo e di Sansone. L'influsso della critica dantesca di Croce non si estende soltanto ai seguaci del crocianesimo, ma e stato sentito con più o meno esplicito riconoscimento da vari studiosi di altri indirizzi critici. Ad esempio, non vanno esenti dall'influsso crociano gli studi danteschi di Torraca, di Bertoni e di Parodi, né quelli dell'estetismo formale di Cesareo e di Tonelli; né quello filologico-stilistico di Malagoli. Altri tipi d'indagine critica intorno all'opera dantesca sono continuati a fiorire con risultati spesso rilevanti, fuori e spesso in opposizione all'indirizzo critico crociano. Ricordiamo l'eruditismo di Cian, lo storicismo di Vittorio Rossi, lo studio filologico e testuale di Barbi e altri più recenti, come quello filologico-tecnico di Pernicone, di Maggini e di Sapegno.
L'influsso esercitato dalla critica dantesca di Croce sulla critica dantesca americana d'oggi e pressoché inesistente per molte ragioni (Croce qui non e studiato), perciò nella maggioranza dei casi la sua presenza si manifesta come un termine di opposizione. D'altra parte, va notato che la critica dantesca di Croce ha trovato un largo consenso e una spinta significativa fra alcuni distinti studiosi europei trapiantati negli Stati Uniti, come Spitzer e Auerbach, i cui studi danteschi s'ispirano in buona parte alia tematica dantesca di Croce.
Leo Spitzer ha lasciato tre saggi su Dante ("Speech and Language in Inferno XIII" [1942], "The Farcical Elements in Inferno, Cantos XXI-XXIII" [1944], "The Addresses to the Reader in the Commedia" [1955]), nei quali mediante l'analisi stilistica sviluppa ed esemplifica la concezione estetica crociana e le premesse teoriche del saggio crociano su Dante. I saggi di Spitzer presentano una moderazione e un ambientamento più consapevole, storico-psicologico, nell'indissolubile nesso di stile e vicenda. Come De Sanctis e Croce, Spitzer tende ad individuare un centro attivo spirituale (un nucleo), a cui riportare - mediante l'analisi stilistica e delle parole-chiave - tutti gli elementi della lettura.
Non meno fertile ed efficace e l'influsso crociano sugli studi danteschi di un altro insigne studioso che ha operato nel mondo accademico americano, cioè Erich Auerbach, che ha scritto molti saggi sul Medioevo e su Dante, pubblicati in diverse riviste e raccolti in volumi (per esempio Mimesis [1946], Dante Poet of the Secular World [1929]). II problema posto da Croce circa la relazione fra struttura e poesia nella Commedia, che sembrava bloccare filologia ed estetica, si muta nella lettura dantesca di Auerbach in tema critico-interpretativo, per cui la struttura non e un antefatto o prefatto della poesia, né si oppone ad essa, né è prodotto allotrio, ma e un ritmo interno di costruzione, che permette la nascita dell'episodio e del personaggio. Secondo Auerbach, la base della poesia di Dante consiste nell'interpretazione figurale della realtà. La Commedia si basa su una visione cristiana figurale delle cose. Dentro i termini della concezione estetica crociana, ma con mezzi diversi di scandaglio, Auerbach cerca di giungere alia definizione del mondo poetico e di un tema attraverso l'intelligenza della parola e dello stile in modo analogo a Spitzer.
Su un'analoga linea della critica stilistica si muovono gli studi danteschi di molti studiosi italiani e stranieri, tra cui ricordiamo i nomi di A. Pagliaro, A. Schiaffini, G. Contini, G. Petrocchi e molti altri (Pezard), nei quali la presenza della lettura dantesca crociana e più o meno manifesta, anche quando negata, come nel caso di Sapegno.
Ricordiamo per ultimo fra gli esempi più illustri del dantismo americano, quello di Charles Singleton, fondatore di una scuola critica dantesca, tuttora attiva e dominante quasi in modo assoluto gli studi danteschi americani. In questa scuola - che ricorda un po' una chiesa con il suo profeta e la setta degli adepti fedeli - il nome di Croce e dissacrato, visto come una specie d'anticristo da esorcizzare a qualunque costo. Gli studi di Singleton su Beatrice (An Essay on the Vita Nuova [1949]), e quelli sulla Commedia (Dante Studies 1: Elements of Structure [1954], e Dante Studies 2: Journey to Beatrice [1958]) rappresentano i capisaldi dell'interpretazione teologica dantesca di Singleton, che sta agli antipodi di quella poetica laica di Croce. I testi di Singleton sono diventati per i suoi discepoli dei libri sacri, novello vangelo di un nuovo profeta. Dantisti come Freccero, Musa, Cassell e i loro chierichetti reinterpretano, con chiose diverse, la lettura dantesca del venerato maestro, che contro l'interpretazione crociana e la critica idealistica, fonda la lettura dantesca sulla lettera di Dante a Cangrande, sui quattro sensi della scrittura, e sulla distinzione fra la lingua dei poeti e quella dei teologi, che e appunto la lingua di Dante della Commedia. Di qui un Dante teologo e profeta simile a quelli della Bibbia. Di qui l'importanza fondamentale delle allegorie, spazzate via da Croce; di qui il risorgere dell'interpretazione dei simboli, dei significati arcani ed allegorici, a cui non esiste limite e certezza, una volta cari a Pascoli (vedi Pietrobono), ma caduti in discredito con il prevalere del crocianesimo. Questa nuova metodologia dantesca, se effettuata in maniera rigorosa e sobria nelle opere del fondatore, nella maggior parte dei suoi discepoli ha assunto forme bizzarre e immaginose, per cui, fra l’intreccio dei simboli e il parlare ermetico, a stento si riconosce la figura storica di Dante.
A una simile impostazione teologica di Singleton, ma con diversa prospettiva storico-critica, si riallacciano, infine, gli studi danteschi di Rocco Montano, autore di moltissimi studi pregevoli su Dante (Storia della poesia di Dante, 2 voll. [1962-63]) Montano rigetta in toto la critica dantesca di Croce, di De Sanctis e buona parte della critica dantesca italiana, e non risparmia appunti alla critica dantesca di Singleton, che esagera l'importanza delle allegorie. Per Montano il vero senso della Commedia resta quello letterale, l'aspetto reale, historialis del viaggio dantesco. Il contributo maggiore che bisogna riconoscere alia lettura di Montano e la distinzione fra Dante poeta e Dante personaggio, i quali non vanno confusi ed identificati, come De Sanctis, Croce e la maggior parte dei dantisti fa tuttora. E nell'esempio di Montano - con cui concludiamo la nostra disamina sulla critica dantesca poster crociana - possiamo vedere, a dispetto di Montano, che anche qui fa capolino la presenza di Croce, come termine polemico e di scontro, come fantasma da abbattere e ricacciare nel passato.
Infine, la critica dantesca di Croce ha esercitato un influsso benefico su moltissimi dantisti, di grande rilievo fino all'ultima guerra, meno dopo, con il declino della popolarità del crocianesimo, e in una certa forma, dopo settant'anni, può servire ancora oggi d'aiuto e di stimolo ai lettori di Dante.

Date: 2021-12-22